TRAMA
C’è un antico monastero che è stato trasformato in un albergo di montagna. Il luogo si chiama Villa Lamento e tra le varie ipotesi accreditate per questa scelta c’è quella del lugubre rumore prodotto dal vento che attraversa i vecchi spifferi delle finestre e produce sibili inquietanti che ricordano molto i gemiti umani. Ma è davvero solo questo il motivo? A Villa Lamento arriva dopo essere stato incosciente in ospedale il giornalista italoamericano Paul Cialdini. Siamo nel 1968 e il giornalismo internazionale è prettamente di inchiesta, e si snoda tra fatti di cronaca nera, cosmopolitica e sociale, con le rivoluzioni generazionali che finiscono per toccare tutti gli ambiti. In ospedale, infatti, al suo risveglio Cialdini scopre di esserci finito a causa di una brutale aggressione e che la sua fidanzata ha perso la vita. Confuso ma determinato a scoprire la verità e i fatti che hanno riguardato l’aggressione Paul viene momentaneamente ospitato proprio a Villa Lamento, hotel malinconico e spaventoso inserito a sua volta in un contesto altrettanto lugubre e periglioso come la sua valle, da decenni scena di efferati omicidi compiuti da un killer senza nome e senza volto ma che tormenta e scuote i sogni e gli incubi di tutti gli abitanti del luogo. Ma questa figura misteriosa e assetata di sangue esiste per davvero o è semplicemente uno spaventacchio per celare oscurità e minacce ben peggiori? Roberto Carboni in una narrazione drammaturgica perfetta confeziona un racconto di specchi dove i riflessi dei personaggi e delle loro azioni non corrispondono mai a quello che il lettore si è immaginato o pensa di avere compreso. L’essenza gotica sta in questo: nel gioco a due tra chi legge e chi scrive, nell’architettura di un pensiero che diventa parola scritta ma rimane essenzialmente concetto, nella capacità autoriale di far scorgere ai lettori il caleidoscopio di colori dell’animo umano tenendo costante e fissa la nota oscura e nera. E che chi legge non troverà tutto e subito è la perfetta dichiarazione di intenti dell’autore che stende una lunga prima nel libro che non è altro che la più riuscita ed esaustiva scatola cinese mai apparsa in un romanzo di genere italiano. In poche parole questo non è il solito giallo, non è il solito gotico, non è soprattutto il solito horror. È una sfida tra chi legge e chi scrive. E chi arriverà all’ultima pagina ne uscirà sopraffatto come dovrebbe sentirsi ogni lettore di genere.
INTERVISTA
Roberto la tua ultima fatica letteraria è un vero romanzo di trasposizioni simboliche dove ogni immagine e azione che tu evochi sembra racchiudere sempre un significato altro. E quindi ti chiedo: è possibile che lo stesso spaventoso killer che terrorizza il luogo dove si svolgono i fatti sia metafora di qualcos’altro?
Intanto, grazie per avermi dedicato questo spazio. Sono davvero lusingato.
Questo romanzo è il primo di una serie ambientata nel tumultuoso 1968. Con un protagonista comune, il giornalista italo americano Paul Cialdini, che indaga su misteriosi delitti almeno all’apparenza legati a eventi impossibili, oltre la logica, in perfetto stile gotico.
Perché proprio gotico? Prima di iniziare a scrivere questa serie (sono circa a metà del terzo romanzo) ho effettuato un vasto sondaggio tra i lettori e ho scoperto che tutti gli amanti del mistero amano anche il buio del gotico, e quei brividi che sa trasmettere. Inoltre, questo genere mi calza alla perfezione, richiede amore per il simbolismo e per la bella scrittura. Mentre un giallo, o un noir, può essere poco rifinito e funzionare comunque benissimo, il gotico impone l’estetica della parola, della descrizione, delle emozioni e infine della paura, che possiede milioni di sfaccettature. La mia scelta è stata quindi articolata: scrivere una storia noir che tolga il fiato (devo girare la pagina! Devo assolutamente girare un’altra pagina!), con la solida struttura di un giallo (alla fine, la soluzione deve stupire e il disegno deve ricomporsi nei minimi dettagli. Senza interpretazioni, trucchi da quattro soldi o finali aperti). Infine, la scrittura deve essere veloce ed esteticamente appagante. Appunto: gotica. La differenza, rispetto alla scrittura gialla o noir, è il bouquet delle parole con cui componiamo le frasi. Nel gotico tutto è più acceso e allo stesso tempo tenebroso, trasmette tensione e senso dell’ineluttabile: sta sempre per accadere qualcosa, e poi qualcos’altro e qualcos’altro ancora. Un volano narrativo che fa arrivare all’ultima pagina, e quindi alla risoluzione del caso.
Ciò che più i lettori desiderano.
Una delle regole fondamentali del simbolismo legato alla struttura drammaturgica delle storie è quella dei frattali. I frattali sono strutture che si ripropongono come eco all’interno del romanzo, e che dialogano con il nostro inconscio (oltre che in drammaturgia accade per esempio nella musica e nell’arte in genere. La pittura di Pollock ne è intrisa). L’apparente caos trova così una collocazione simbolica e dona appagamento. Ogni elemento del romanzo pertanto deve avere un significato (anche simbolico) che si rifà alla struttura e al tema. Non possono esistere elementi spaiati, sospesi o casuali. Solo così possiamo percepire di trovarci immersi in un unico organismo coeso e funzionale, che ci conduce come l’ipnosi dritti dentro un’altra dimensione, straordinariamente appagante per la nostra fantasia. Il sogno quindi si trasforma in esperienza. Come se lo stessimo davvero vivendo.
Il segreto e il mistero come leit motiv dell’intera narrazione. Possiamo dire che questi elementi di racconto siano diventati un po’ la tua “firma”, la tua cifra stilistica e il tuo canovaccio su cui costruire storie tra l’horror e il sociale?
In America è ben nota l’industria dell’intrattenimento. In Italia dire che ti occupi di intrattenimento sembra quasi l’ammissione di una svalutazione del talento. Non so spiegarmi il perché, forse per un nostro atavico senso di inferiorità. Se proviene da noi, tutto deve essere arte, letteratura, deve essere degno di essere esposto in un museo, o del più prestigioso premio letterario internazionale. Io scrivo narrativa e ne vado orgoglioso, perché lavoro per divertire il pubblico. Scrivo per intrattenere, per coinvolgere, per divertire e a volte per fare arrabbiare il lettore. Scrivo per far sognare a occhi aperti e per far battere il cuore. L’horror ha quindi una natura simbolica, non spiritica o soprannaturale. Testimonia le nostre paure e fragilità. Il sociale all’interno delle mie storie non è altro che il prodotto di tutti gli individui che le compongono. L’interazione dei personaggi con il mondo e la realtà che li circonda e, a volte, li attanaglia in una morsa. Insomma, la straordinaria imprevedibilità della nostra esistenza, condita da una buona dose di fantasia e perfidia.
Ancora una volta una villa, una valle, una natura bella da vedere ma ostile da vivere. Ancora una volta location reali usate come sottonarrazione per parlare in realtà di stati di animo. Come riesci a far coincidere e sovrapporre le due cose nella stessa scrittura e nello stesso racconto?
La descrizione in narrativa è un’arma a doppio taglio che richiede perizia e senso del pericolo. Può essere noia o pura emozione. La trepidazione e il tumulto scaturiscono quando la descrizione trasmette gli stessi simboli della scena. E quando la descrizione non è la rappresentazione pedante della realtà, ma la raffigurazione dinamica delle emozioni che provoca (come nell’Espressionismo, l’Urlo di Munch non è solo un urlo). Allora, anche la descrizione diventa storia, o meglio sottonarrazione. Cioè, emozione: trepidazione, paura, impellenza. Insomma, se riusciamo in questa magia, la descrizione conferisce movimento invece di inchiodare la scena. Una bella differenza!
E adesso, buona lettura.
Con affetto. Roberto Carboni.