INTERVISTA A CLAUDIO COLETTA

In occasione dell’uscita del suo nuovo romanzo ” Il taglio dell’angelo” edito da Fazi Editore abbiamo intervistato lo scrittore Claudio Coletta. Tra i suoi romanzi ricordiamo “Via del Policlinico” (Sellerio) e “Prima della neve” (Sellerio).

Qual è stato lo spunto per questo romanzo?

 Da diverso tempo avevo in mente di costruire una storia, possibilmente con i toni del noir, attorno alla vicenda dei profughi richiedenti asilo in Italia e in Europa. Non era semplice da realizzare, soprattutto rischiavo di mancare di rispetto alla sofferenza e alla morte vera di tanta gente. Poi, nel gennaio del 2017, mi è capitato fra le mani un articolo di Repubblica a proposito di una vicenda avvenuta in Francia, e ho capito che quella poteva essere la chiave giusta per affrontare un tema così doloroso pur utilizzando i codici del romanzo di genere.

C’è in questo romanzo il filo lasciato sospeso in “Viale del Policlinico”? E per Lorenzo prevede altre avventure?

Al momento non lo so ancora, sarà lui a decidere se e quando tornare in azione. Se lo farà, sarà a modo suo, bussando alla mia mente dapprima con delicatezza, poi con prepotenza. Quanto a “Viale del Policlinico”, la mia risposta è sì, questo romanzo si ricollega al mio lavoro d’esordio nelle atmosfere e nell’ambientazione, anche se Roma non è più quella del 1974, e neppure lo sono i romani. Tutto è diverso, difficile dire se in meglio o in peggio, questo lasciamolo decidere ai sociologi e agli storici, in futuro.

In questo romanzo c’è un fondo sociale molto forte, che tocca l’immigrazione clandestina e le strutture di accoglienza. Secondo lei la letteratura ha l’obiettivo di guidare il pensiero attraverso la società?

Il compito di guidare il pensiero direi di lasciarlo ai maestri, che purtroppo sono sempre di meno, o magari appare così a me per via dell’età.  Se parliamo invece di letteratura e del suo dovere di affrontare i temi più scottanti e attuali, questo assolutamente sì, a mio avviso. Come si fa a scrivere storie avulse dalla realtà in cui si vive? Si rischia di essere bugiardi, nella migliore delle ipotesi indifferenti. Per questo non amo il genere fantasy, ma forse è un problema mio. 

Porti chiusi o porti aperti?

Qualsiasi marinaio conosce la risposta. I porti servono ad accogliere chi rischia la vita in mare, da sempre, e devono continuare a farlo. 

Quale lavoro di documentazione, ricerca, sopralluogo, ha dovuto fare per questo romanzo?

Molto, e non solo inteso come visite presso le strutture di accoglienza, che ai tempi in cui si dipana la storia avevano caratteristiche profondamente differenti fra loro, ma anche di ricerca legislativa sulle norme di accoglienza dell’Unione Europea per i profughi richiedenti asilo. Senza parlare di altri tipi di normative che qui non posso svelare per ovvi motivi. E’ la parte più bella del lavoro, quella che precede la scrittura.

Quanto è stato difficile relegare Domenicucci a una parte secondaria e dare rilievo al dott. Baroldi?

In realtà Lorenzo Baroldi è stato il protagonista del mio romanzo d’esordio, “Viale del Policlinico”, pubblicato dieci anni fa. Allora era uno studente di medicina, e Nario un semplice agente della Celere, che lo aiutava nelle indagini. Era Domenicucci, il comprimario, pur con un ruolo decisivo. In questo romanzo la coppia si riforma, e assieme affrontano una situazione complicata, che rischia di lasciare un segno profondo nelle loro vite. È il destino di Domenicucci, avere il ruolo del Deus ex Machina, proprio come in “Amstel Blues”.

Vedrebbe bene questo romanzo diventare una serie o secondo lei i camici bianchi sono sovraesposti tra Grey’s Anatomy, Doc, ecc…?

Più che una serie, credo che potrebbe essere il soggetto di un film, che nelle mani di un buon regista potrebbe diventare anche un ottimo film, lo penso senza falsa modestia. Gli elementi narrativi ci sono e i tempi anche, a mio avviso. Qualcuno ha detto che tutti i miei romanzi sono delle potenziali sceneggiature, e lo ritengo un complimento, da appassionato di cinema quale sono. Una serie no, mi spaventa la sola idea di far vivere altri sei o sette romanzi ai miei due poveri protagonisti. Meglio lasciarli invecchiare in pace, direi. 

Grazie a Claudio Coletta per la sua disponibilità e averci regalato un romanzo che porta alla luce delle problematiche che forse il Covid aveva relegato in secondo piano

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