TROVO MOLTO AFFASCINANTE SCAVARE NELLE PERSONALITA’
di BARBARA GALIMBERTI
Roberto Ottonelli, scrittore, papà, persona impegnata da sempre nel contrasto alla violenza sulle donne, è un autore sensibile e un giallista ispirato. Con i suoi ultimi romanzi pubblicati con Mursia nella collana Giungla Gialla si è fatto conoscere e apprezzare dal grande pubblico e ora si racconta ai lettori del nostro blog in questa bella chiacchierata a cura di Barbara Galimberti
“Mi trovo molto più a mio agio nel buio.” Questa è una affermazione potente. Nel tuo romanzo ne ho trovate molte. Sono frasi che fanno riflettere. Quindi, che cos’è per te il buio?
La tua domanda mi ha spiazzato perché per lungo tempo il buio mi ha atterrito. Posso dire che il mio intento è quello di sollevare riflessioni e il fatto che arrivino in modo così forte lo trovo quasi magico. Da bambino ero terrorizzato dal buio, temevo che ne potesse uscire qualcuno che mi facesse del male. Mi rannicchiavo sotto le coperte sperando, così, di essere in salvo. Crescendo ho imparato a conviverci, anzi adesso mi ci trovo a mio agio. Sono convinto che il buio sia anche quel lato oscuro che abbiamo tutti, con cui spesso abbiamo paura di fare i conti, ma trovo che sia necessario. In fondo non esisterebbe luce senza le tenebre, forse è proprio dentro il suo buio che Marco Bordoni, il protagonista, ha avuto l’opportunità di scorgere la fiammella dell’amore. Da cui però ha provato a scappare perché non ne conosceva il calore.
Nel tuo romanzo giochi con il sesso e la psiche umana. Per te come si legano questi due aspetti, al di là dei tuoi personaggi?
Mi sono interrogato molto, prima di scrivere alcune scene diciamo più esplicite, se fosse opportuno. Poi ho deciso di inserirle non certo per soddisfare certi appetiti voyeuristici, ma proprio perché ritengo che il sesso faccia parte delle nostre vite e, in tante situazioni, porti a prendere decisioni, non sempre le migliori. E qui entra in campo, se vogliamo, il più alto tema del giusto o sbagliato. In tante situazioni sappiamo quale sia la scelta corretta da fare, ma subentrato poi altri fattori, fra cui di sicuro il sesso, anche solo in termini di tensione erotica verso un’altra persona, quel gioco spesso pericoloso e al tempo stesso intrigante.
In ogni romanzo con facilità si identifica il protagonista o la protagonista e la storia ruota attorno a lui o a lei. In questa tua opera c’è il protagonista, ma chi dovrebbe solo contornare questo personaggio è molto forte e interessante, a tratti più attraente della figura centrale della storia. quindi, chi sono i tuoi personaggi?
Marco Bordoni è e rimane il protagonista. Un invisibile, un emarginato che vive da sempre con una mamma oppressiva, che trova nella vendetta nei confronti di chi ritiene lo abbia svilito o umiliato una sorta di occasione di riscatto. In questo libro si evolve sfruttando la notorietà fatta di artificio, quella che entra nella vita delle persone senza chiedere il permesso per poi gettarle via quando non servono più. In modo per lui inaspettato conosce Bea la tassista, con la quale quando capisce di provare un sentimento per lui ignoto, mai sperimentato prima, cerca di sottrarsi perché non le vuole fare del male. Io racconto in prima persona dai vari punti di vista proprio per cercare di entrare più a fondo nei personaggi e devo dire che Bea è stata sorprendente anche per me. Quando stavo scrivendo una scena in particolare ho avuto la sensazione che mi guardasse con i suoi occhi tristi e profondi per dirmi che no, lei quella cosa che aveva in mente non l’avrebbe mai fatta. Così ho deciso di assecondarla. Anche l’ispettore Lupatelli si porta dietro i suoi fantasmi, come ognuno di noi, in fondo…
La tua storia è buia, decisamente dark, come sottolineano gli inglesi parlando di libri, film o serie tv che navigano nel profondo dall’anima. Come riesci ad andare così a fondo? Esiste uno scrittore o un regista un regista che possono averti ispirato?
Stavo giusto parlando qualche giorno fa con mia moglie perché vorrei farmi tatuare una frase, tratta dal film cult “Il Corvo”: “ognuno di noi ha un Diavolo dentro e non ha pace finché non lo trova”. Trovo molto affascinante scavare nelle personalità, senza usare figure che in fondo rassicurano come “il mostro”, che si percepisce come lontano
rispetto a noi. In un certo qual modo è stato scavare anche in fondo a me stesso, soprattutto rispetto al tema dell’infanzia violata, che ho volutamente molto estremizzato, ma partendo da elementi che ho vissuto. Sgombro subito il campo dall’equivoco, perché non penso che chi subisce violenza da bambino poi sia in qualche modo giustificato nel farne una volta adulto, ma ognuno di noi è frutto del contesto dove è nato e vissuto e, volente o no, se lo porta dietro per tutta la vita. Come ispirazione inarrivabile di sicuro Stephen King per la sua capacità di farti vedere i personaggi.
Nel tuo romanzo si fa riferimento al Grillo parlante. Io penso che ognuno di noi abbia il suo Grillo parlante; a volte siamo consapevoli che ci stia parlando e altre no. Hai voglia di parlarci del tuo?
Il mio Grillo parlante immagino che non ne possa più! A parte le battute, sono sempre stato molto, forse fin troppo, riflessivo e autocritico. Ho un rapporto costante con la mia coscienza e penso, in questo senso, di esserne consapevole. L’idea di trasferire questo elemento nel protagonista viene da lì. È una tecnica che avevo già adottato in precedenza perché sono convinto che il confronto interiore sia fondamentale per entrare ancora più a fondo nella personalità del personaggio.