Intervista a Lidia del Gaudio, autrice de Il delitto di via Crispi n. 21: “Il libro nasce da un filmato dell’Istituto Luce dove si vede l’auto con Hitler e il Re sfilare per via Caracciolo. Napoli, la mia città, imbandierata coi simboli nazisti è stata una visione che mi ha colpito al cuore”. (recensione)

Lidia, le vicende raccontate nel tuo romanzo – tra le proposte per il Premio Strega 2020 – si svolgono a Napoli nel 1938, pochi giorni prima della visita del Führer. Come mai hai scelto quest’ambientazione?

In generale amo le ambientazioni storiche, le considero una base ferma su cui creare dei racconti che per forza di cose finiscono per contenere un valore aggiunto. E poi dalle ricerche che faccio riesco sempre a imparare qualcosa, e questo non è da sottovalutare. Ovviamente non ho la pretesa di mettere a punto delle ricostruzioni fedeli al cento per cento, mi basta rendere l’atmosfera. Come succede coi fondali del teatro, insomma, dove le scene sono solo dipinte e tuttavia riescono a farci vivere nel contesto che vogliono descrivere. Tutto parte comunque da un evento che mi colpisce in modo particolare. Ne “Il delitto di via Crispi n. 21”, per esempio, mi ha impressionato molto il filmato dell’Istituto Luce, dove si vede l’auto con Hitler e il Re sfilare per via Caracciolo fino al Molo Beverello, dove poi incontrano Mussolini, prima di imbarcarsi. Scoprire la mia città imbandierata coi simboli nazisti è stata una visione del tutto nuova e inaspettata, che mi ha ferito, colpendomi al cuore. Da lì è nato tutto il resto.

Quali sono i tuoi modelli letterari di riferimento e perché?

Sono una lettrice onnivora e, se devo essere sincera, non ho un modello letterario di riferimento. O meglio, non uno solo. Ho letto classici importanti e romanzi gialli più commerciali, fantascienza e fumetti. Se una storia è bella e scritta bene riesce sempre a coinvolgermi. Il mio punto di riferimento per la scrittura tuttavia restano I promessi Sposi, anche se ovviamente, con tutti gli aggiornamenti del mio vivere nel 2020. Trovo che quel romanzo resti ancora insuperabile sia per la potenza delle descrizioni dei luoghi e dei personaggi, sia per la sapienza nell’uso della lingua e della punteggiatura. Altra opera fondamentale, per me napoletana, poi, sono le commedie di Eduardo De Filippo, di cui ho una splendida raccolta completa e che ogni tanto vado a rileggermi.

Alberto Sorrentino, il tuo commissario, è un uomo solo, segnato da un passato terribile…

Sì, il mio commissario è un uomo complicato, disincantato, insonne, che ha sofferto, ma che, proprio per questo, si fa molto spesso carico del dolore degli altri, ne comprende le debolezze, e soprattutto non giudica. E in effetti il dolore deve renderci migliori, se ciò non accade allora la sofferenza è stata sprecata.

Uno degli aspetti più appassionanti e godibili del tuo libro, oltre all’ambientazione in una Napoli carica di storia e a un linguaggio molto ricco, secondo me è la nutrita galleria di personaggi. Anche le vittime sono tratteggiate vividamente. Ce n’è qualcuno che hai amato particolarmente?

Amo tutti i personaggi di questo romanzo, ma devo anche dire che sicuramente i personaggi del romanzo hanno amato me, anzi, sono stati loro, in un certo senso, a raccontarmi le storie che li riguardavano. Diciamo che mi sono ispirata a caratteristiche di persone che hanno fatto parte della mia esperienza di vita in un modo o nell’altro, anche se miscelate tra loro. Se proprio devo scegliere, però, oltre al personaggio di Alberto Sorrentino e alla città di Napoli, protagonista essa stessa, sono molto affezionata alla domestica Fortuna. Il ricordo di una vecchia zia che non c’è più.

Grazie a Lidia Del Gaudio per i tempo concessoci.

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