Ad un mese dall’uscita per TEA della “Trilogia del Caos” (raccolta che comprende i suoi romanzi: E’ così che si uccide, La forma del buio, Così crudele è la fine) abbiamo intervistato lo scrittore e traduttore amatissimo da La Bottega, Mirko Zilahy.

Mirko, l’evoluzione del personaggio di Mancini all’interno della Trilogia del Caos è evidente a ogni lettore, con un’esplosione totale della sua personalità e della sua mission nell’ultimo capitolo. Ma c’è ancora qualcosa che non hai fatto fare o dire al tuo stupendo protagonista, e se sì quale?

Quello di Enrico Mancini è un arco spezzato. Il commissario non è un personaggio compiuto, ma una persona fragile e incerta, la cui direzione, il cui scopo esistenziale è un’intermittenza di volontà, passioni, doveri, e ricordi dolorosi. Il commissario ha affrontato tre grandi sfide, quelle di fronte alle quali siamo chiamati ogni giorno a combattere anche noi, se troviamo il coraggio. Mettere in discussione ciò che abbiamo di più sacro al mondo: chi siamo (sfida il concetto stesso di identità), in che spazio ci muoviamo (sfidare la realtà), e il rapporto col mondo e con gli altri (sfida l’idea di giustizia). Da qui parte Mancini in È così che si uccide, costretto da un serial killer a mettere in dubbio il fondamento stesso per qualunque uomo di legge: cos’è davvero la giustizia? Ne La Forma del Buio: esiste davvero quella cosa che chiamiamo realtà? In Così crudele è la fine: cos’è l’identità? Tre grandi temi incarnati nelle figure di tre serial killer che Mancini affronta nella Trilogia del Caos. 

Parliamo di Roma, location perfetta e insolita di questi tre romanzi. La “tua” Roma è lontanissima dall’immagine che in tanti hanno della capitale, è più spaventosa e direi quasi intimista. Possiamo, quindi, considerare la tua trilogia anche come una sorta di vademecum alla scoperta di una città tanto famosa quanto ancora per molti versi sconosciuta?

Quella che s’intravede sullo sfondo dei miei romanzi, e che a volte emerge prepotente come un personaggio a sé, è la mappa di una Roma “rovesciata”. È come se la guardassimo dall’altra parte come se potessimo leggerla osservandola dal centro della terra. Questa mappa rovesciata rappresenta un disegno che svela nodi e trame oscure di Roma che dall’alto, dal mondo di sopra, sono invisibili. Sono convinto che Roma vista dall’alto sia la città più bella del mondo, osservata dalla strada lo è molto di meno… ma è dal basso, dal sottosuolo, che svela davvero la sua anima nera e misteriosa. Come qualunque personaggio che si rispetti.

La Forma del Buio all’interno della Trilogia del Caos è il romanzo più compiuto e complesso, una sorta di in medius est virtus di cui forse neanche tu eri conscio nel momento in cui lo scrivevi. Se lo stesso dovesse diventare un film cosa ti piacerebbe che venisse assolutamente tenuto nella sceneggiatura? Qualcosa a cui non vorresti mai che si rinunciasse?

Grazie mille. Personalmente credo che La Forma del Buio sia il romanzo che meglio rappresenti l’idea che ho di Letteratura calata nel genere. Sulla serie tv, ci stiamo lavorando, i diritti sono stati venduti a un grande produttore italiano e chissà che Mancini non trovi un volto sul piccolo schermo. Tra i romanzi della trilogia, La Forma del Buio si presta senza dubbio a una trasposizione pirotecnica, hollywoodiana. Non ho particolari ritrosie, quando si traduce un romanzo in un altro sistema di segni come l’audiovisivo per il cinema o la tv si trasforma e non mi aspetto di vederne una trasposizione fedele. Certamente mi piacerebbe ritrovare lo spirito maudit di Mancini e l’atmosfera visionaria che avvolge Roma, con i suoi grandi parchi che divengono teatro di una serie di omicidi rituali legati alla mitologia e all’arte classica.

Mirko tu usi termini come: afrore, che l’enciclopedia Treccani considera un termine colto, usato solo da coloro che hanno una vera conoscenza delle tante sfumature della lingua italiana. E in effetti la tua scrittura lo è, colta, elegante, accurata e tuttavia i tuoi romanzi sono allo stesso tempo “popolari”, nel senso più nobile del termine. Come ci riesci? Come riesci a coniugare una scrittura così importante a delle trame in grado di coinvolgere e appassionare anche chi legge solo gialli? 

Di nuovo, grazie. È un miraggio contemporaneo, merceologico, iperselettivo, quello di separare l’alto e il basso, la letteratura dal genere. Poe è considerato tra i padri della letteratura americana eppure ha scritto racconti, saggi e poesie in cui indaga il mistero in tutte le sue forme ma passa per essere un autore di genere tout court perché ha creato Dupin, ha fondato un canone. Omero ha scritto pagine straordinarie e straordinariamente efferate, con mostri, ciclopi, creature marine che straziano corpi, ma quella è poesia, è letteratura. Dante è capace di una potenza visionaria terrificante per raccontare dannati e dannazioni. Leopardi ha scritto due Canzoni Sepolcrali che sembrano uscite dalla penna di Poe… 

Non so se riesco davvero a coniugare le due cose come dici tu, la scrittura complessa e la tensione popolare. Certamente ci provo. Nelle mie intenzioni la scrittura è l’elemento che rappresenta in senso profondo l’autore. Le trame dei romanzi di genere (ma vale lo stesso per gli storici, per le saghe familiari, i chick-lit e via dicendo) non possono essere completamente originali per ragioni strutturali legate alla storia della narrazione, a schemi che si devono ripetere, a vincoli, personaggi, archetipi, viaggi dell’eroe, conflitti necessari, ecc. Ciò che piuttosto rende un autore unico, oggi più di ieri, per me è la forma. La scrittura. Qualcosa che lo renda unico e al contempo familiare (l’alto e il basso che dicevi tu). La sua voce, il mondo che evoca con l’incantesimo dello stile, le storie e i personaggi che racconta in un modo esclusivamente suo. È in questo senso che la letteratura, nei miei romanzi, incontra il genere. 

Non ho bisogno di leggere il titolo di qualunque cosa abbia scritto Wilde, Dickens, Benni o Ammaniti per trovarmi dentro al loro mondo, per escludere, insomma, il mio, quello reale, quello esterno alla lettura. Se metto su una canzone dei Beatles so che sono loro anche se non conosco il brano. Perché la magia della voce è centrale. Sin dal libro dei libri, la Bibbia, è la parola che crea il mondo. E la voce dell’artista lo trasforma continuamente. Allo stesso modo spero che un lettore italiano (nel bene e nel male) non abbia bisogno di trovare Enrico Mancini sulla pagina per capire che l’ha immaginata, e scritta, Mirko Zilahy.

Domanda di rito e un po’ scontata ma siamo curiosi. Quali sono i tuoi progetti futuri? Tornerà Enrico Mancini?

Enrico Mancini è in aspettativa… ed io come voi sono in attesa di scoprire se qualcosa, o qualcuno, sarò in grado di riportarlo ad abitare i miei pensieri e le mie pagine. Posso dire però che in questi due anni e mezzo la tastiera del mio computer ha continuato a ticchettare senza tregua. E che presto, molto presto…

Grazie a Mirko Zilahy e per i nostri lettori che non lo conosco, non rimane che correre in libreria.

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