LO SCRITTORE DI LEGAL THRILLER PIU’ FAMOSO AL MONDO SI RACCONTA AI BLOGGERS

Scott Turow si collega on line con i blogger invitati dalla sua casa editrice italiana (Mondadori) ricevendoci nel soggiorno della sua casa in Florida dove al soffitto è in funzione un ventilatore a pale che fa pendant con la sua t-shirt a maniche corte. E dato che è metà dicembre e tutti noi siamo, invece, in maglione di lana e riscaldamento acceso solo per questo dovrebbe attirarsi le invidie di tutti. Ma non basta. In realtà Scott è anche uno scrittore da milioni di copie vendute e traduzioni in svariati paesi del mondo, e per finire è anche simpatico, non risponde alle domande a monosillabi, anzi, e ciliegina sulla torta, si avventura, di tanto in tanto, perfino in qualche parola di italiano. Insomma un uomo di tante fortune e tanti interessi e qualcuno di questi ce li racconta qui sotto in questa interessante intervista.

Nel tuo ultimo romanzo il tema della giustizia costituisce la centralità della tua intera narrazione, ma tu personalmente cosa pensi della giustizia in generale, funziona, è reale, è giusta?

Il tema della giustizia è un tema presentissimo in tutti i miei romanzi, ma nell’ultimo si lega anche a quello che è il giudizio del protagonista sulla giustizia in generale e in particolare sulla giustizia come esito del processo al suo cliente. Quando si parla di giustizia e in particolare della giustizia americana bisogna sempre tenere presente che i risultati della stessa seguono perlopiù un esito ragionevole. Il verdetto non è mai il risultato di un unico procedimento di accusa o di assoluzione, ma sempre è dato da più esiti, alcuni perfino ingiusti. Partendo da questa regola generale della giustizia americana, io personalmente, ho fatto sì che il mio protagonista, Stern, avesse ben presente tutto questo, tanto da avere imparato ad accettare e a considerare i verdetti come un insieme di parti, dove alcune di queste possono essere non giuste. Io da ex avvocato e procuratore so che i casi possiedono sempre parti ambigue o sfaccettate.

Tu in questo tuo ultimo lavoro fai dire a uno dei personaggi che non esistono, in realtà, farmaci senza effetti collaterali, quindi la mia domanda è: come autore cosa pensi delle ultime ricerche e dell’ultima sperimentazione sui farmaci che dovranno curare la pandemia in corso? Cosa pensi della situazione attuale?

Certo io non avrei mai potuto pensare nella mia narrazione di poter anticipare né la pandemia in corso né quello che sta succedendo nel mondo in questo preciso periodo storico. Ma se dovessi ipotizzare cosa aspettarci da un vaccino che deve arrivare in fretta ed essere somministrato a milioni di persone, allora direi che può succedere qualcosa molto simile a quanto descritto nel mio ultimo libro: ovvero, i vaccini possono essere creati e sperimentati anche in un tempo molto breve, ma quando si seleziona un gruppo molto stretto di persone a cui somministralo, poi non si possono assolutamente escludere effetti collaterali. Nel mondo c’è tanta gente con patologie anche rare, con allergie personalissime e quei danni o quelli effetti che possono non insorgere affatto su un gruppo di volontari o di popolazione ristretti, possono invece verificarsi quando il numero di vaccinati raggiunge cifre enormi. Qualche effetto collaterale a qualcuno nel mondo è assolutamente da mettere in conto. Sarebbe strano il contrario.

Una cosa che si apprezza subito nel suo romanzo sono i dialoghi, soprattutto quelli in tribunale tra le parti a confronto e considerando che molte delle scene che si svolgono in un tribunale vedono i personaggi pressoché fermi e in situazioni di grande staticità, come fai a dare proprio in queste parti una grande dinamicità ai dialoghi e alle pagine che li contengono?

Perché io sono uno scrittore che sente i personaggi nella testa proprio come se fossi lì a parlare con loro. Fin dall’inizio ho sempre saputo che i miei libri avrebbero contenuto molti dialoghi e tanti di questi si sarebbero svolti in un’aula di tribunale. Ma io sono un avvocato, ho fatto per tanto tempo questo lavoro, per me non è difficile riproporre la dinamicità di un dialogo in aula.

È singolare leggere nel suo romanzo di una corte americana dove persone con ruoli diversi si conoscono tutti e si frequentano tra di loro. Un senso di comunità spiccato presente in molti romanzi americani, certo, ma ti chiedo è possibile che questa cosa capiti anche in un’aula di tribunale e all’interno di una corte federale?

Sì è possibilissimo. Anche nelle grandi città americane come può essere Chicago la comunità degli avvocati, dei giudici federali, dei procuratori, è una comunità piccola dove tutti si conoscono, si frequentano, si intercambiano nei ruoli. Molti di loro oltre che frequentarsi sul lavoro finiscono per frequentarsi anche nella vita privata. È come se fosse un vero e proprio microcosmo. E se succede in città grandissime e con milioni di abitanti ancora di più succede in cittadine piccole come quella descritta in L’ultimo processo. Pertanto, tutto quanto narrato nel mio romanzo non è né insolito né surreale.

Immagina te e l’avvocato del tuo libro seduti al tavolino di un bar. Di cosa parlate e se dovesse aggiungersi qualcun altro a voi chi vorresti che fosse dei personaggi del romanzo?

Beh in questo momento storico particolare due avvocati americani seduti al tavolino di un bar parlerebbero solo delle ultime elezioni, del tentativo di Trump di andare in giudizio per ribaltare il risultato elettorale, parlerebbero di Legge, di Costituzione. E mi piacerebbe che ci raggiungesse senz’altro la giudice del mio libro. Sì mi immaginerei proprio questa scena.

La cosa che colpisce di più i lettori italiani ne L’ultimo processo è la gravità che si attribuisce a reati per i quali nel nostro Paese se si è fortunati neppure si va in giudizio e che negli Usa invece diventano illeciti gravissimi intorno ai quali imbastire processi di grande eco. Come è possibile che per gli americani i reati fiscali abbiano la stessa importanza e gravità di uno stupro, di un attentato, di un omicidio?

Quando si pensa agli Usa, si pensa a una nazione forte anche dal punto di vista economico, invece, l’economia americana e gli americani stessi non sono affatto esclusi da crisi finanziare ed economiche importanti. C’è una fascia media di popolazione che deve quasi perennemente fare i conti con tasse sproporzionate affianco di stipendi base minimi. Dopo il secondo conflitto mondiale, per un po’ la classe media americana aveva cercato di vivere il sogno della ripresa economica, dell’occupazione lavorativa, del benessere diffuso. Ma con la presidenza Regan tutto questo ha finito per scomparire. Le tasse altissime e introdotte per tutti senza distinzione di ceto o salario hanno creato una discrepanza sociale che non si è più sanata. Pertanto, la classe media o bassa che si vede costretta a pagare tasse altissime messe dall’establishment, dalle persone che contano e che sono più ricche di tutti, quando vede o comprende che proprio i più ricchi vogliono fare i furbi, vogliono progredire a spese della comunità, eludere regole che loro stessi hanno imposto, allora si ribellano fortemente, fino a essere in grado di portare avanti una vera protesta di piazza a livello nazionale. Per questo, i giudici, la giustizia americana è fermissima nel condannare chiunque commetta crimini fiscali, perché ne va della pace sociale. Per dimostrare che tutti sono uguali di fronte alla legge. Se evade il povero viene condannato e imprigionato, se evade il ricco ha il medesimo e pesantissimo trattamento. Solo così si evitano le rivolte.

Grazie a Scott Turow per la disponibilità e a Mondadori per l’occasione offertaci. 

Eccovi il link per leggere la nostra recensione al suo ultimo romanzo: L’ultimo processo.

 

 

 

 

 

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