Stefano Bonazzi se non fosse un giovane autore nato nel 1983 potrebbe essere un uomo rinascimentale perché tra racconti, romanzi, composizioni e fotografie esposti in tutto il mondo abbraccia il mondo dell’arte quasi completamente. E basta guardare il suo sito ufficiale per rendersi conto di quanto la sua pop art surrealista sia qualcosa di assolutamente geniale nel panorama internazionale. Una visione del mondo e degli uomini che non poteva non toccare anche la sua scrittura e il suo romanzo più importante A bocca chiusa (recensione)ne è quasi una summa esplicativa. Noi lo abbiamo intervistato per i lettori de La Bottega del Giallo e questo è quello che ci ha raccontato. 

Benvenuto Stefano, e benvenuta anche la nuova pubblicazione del tuo magnifico romanzo. Da dove nasce l’idea di A bocca chiusa e quanto ti sei sentito coinvolto nel realizzarla?

Grazie a voi per ospitarmi a La Bottega del Giallo!
L’idea alla base di questo libro trae linfa da alcune esperienze personali. Ho sempre pensato che imprimere stati d’animo, ansie, incubi e pensieri su un foglio, sia il miglior modo per esorcizzarli e l’esperienza vissuta con questo romanzo ne è stata per me la conferma definitiva. Il coinvolgimento nella stesura è stato quindi totale, più di una volta mi sono trovato in seria difficoltà nella descrizione di alcune scene e situazioni. Come scrivo anche nei ringraziamenti finali, si è trattato di un’esperienza stremante ma anche molto formativa, in qualche modo, necessaria.

In una torrida estate di una brutta periferia un bambino assapora l’assurdità del Male. Pensi che la storia e le vicende narrate non avrebbero avuto la stessa intensità se ambientate in una bella villetta di un quartiere residenziale, magari in primavera?

Al contrario, spesso il male si nasconde più facilmente sotto le superfici patinate. Quello che cercavo io era un’ambiente che rappresentasse al meglio un qualsiasi quartiere popolare di una qualsiasi periferia urbana: semplice, funzionale ma anche alienante e desolante, soprattutto nei periodi estivi. Infatti, pur non mettendo riferimenti a luoghi reali, molti lettori si sono riconosciuti nella città in cui si svolge la storia. Mentre scrivevo, avevo in mente le atmosfere urbane di due autori che apprezzo molto: Eraldo Baldini e Simona Vinci, in particolare “Dei bambini non si sa nulla”, uno dei suoi testi più duri ma anche più suggestivi.

Nel tuo romanzo abbiamo tutte le sfumature della malvagità declinate in ogni loro aspetto, ma per te cos’è il Male, che rappresentazione gli daresti dato che sei anche un apprezzatissimo fotografo?

Nel romanzo, il protagonista utilizza una metafora molto specifica per cercare di descrivere la morte. Il male è qualcosa che si discosta dalla morte. È un seme nero che si conficca nel terreno dell’animo umano e può iniziare a sviluppare radici sempre più profonde e resistenti, se ben alimentato. È qualcosa di subdolo, radicato, tumorale.
Ho sempre avuto in testa quest’idea molto semplice, anche banale, ma per me profondamente vera, che le persone nascano essenzialmente bianche o nere. Sarà poi la vita e le situazioni ad amplificarne o ridurre questo orientamento.

Un tema dominante in A bocca chiusa è anche la pazzia. Secondo te essa può giustificare ogni azione, anche la più estrema? 

La pazzia non è una giustificazione. Nemmeno la fantasia o l’immaginazione.
Quello che cerco di far capire al lettore in queste pagine è che la nostra capacità di astrazione può essere un’arma a doppio taglio se non si è capaci di controllarla.
Nella prima parte del romanzo, infatti, il protagonista usa la sua immaginazione per crearsi un mondo ideale in cui rifugiarsi, questo si rivelerà un’ancora di salvezza durante l’infanzia, per poi tramutarsi in una condanna, nella seconda parte della storia. Anche la fantasia quindi può rivelarsi un elemento/strumento estremamente dannoso, se alimentata in modo errato.

Scegli la frase del libro che lo racchiude tutto e che per te è la più rappresentativa di tutta la storia.

Il nulla non mi fa paura. La morte non mi fa paura. La follia è tutta un’altra cosa.

Grazie a Stefano Bonazzi per il tempo regalatoci.

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