
LA FOLLIA SI MIMETIZZA NELLA NATURA OPULENTA
di BARBARA MONTEVERDI
A partire da Intrigo bretone, proseguendo con Risacca bretone e via via sino a quest’ultima opera, Jean-Luc Bannalec – pseudonimo di un autore tedesco evidentemente rapito dalla bellezza di questa regione francese – ha inanellato gialli ambientati in Bretagna con una costanza e un amore inusuali.
In Segreto bretone, la scena si apre sulla foresta di Brocéliande, famosa per aver ospitato i personaggi della saga di Re Artù e ricca di anfratti misteriosi, fonti magiche, pietre dai poteri oscuri e cadaveri. E’ proprio seguendo la scia di morte che pare aleggiare su questo territorio apparentemente fatato, che il commissario Dupin e la sua squadra cominciano a indagare sugli omicidi di due esperti del ciclo arturiano, che avrebbero dovuto partecipare a un convegno in loco.
La struttura del racconto è a matrioska: i testimoni da cui il commissario dovrebbe ricavare informazioni utili all’inchiesta risultano – oltre che estremamente reticenti – differenti dopo una prima impressione, e alla seconda cambiano ancora, così come alla terza. Ognuno di loro è diverso e agisce in modo inaspettato, a volte improprio.
Ovviamente Dupin sapeva che durante un’indagine per omicidio non tutti erano sinceri e c’era chi teneva alcune informazioni per sé, ma in questo caso l’atteggiamento generale era fin troppo estremo. Nessuno diceva niente, persino le informazioni più importanti gli giungevano solo per caso, per un ripensamento, di sfuggita o non gli giungevano proprio per niente. E ciascuno era collegato agli altri, in un modo che metteva Dupin a disagio.
Con tutto questo, però, il racconto fatica a decollare: paesaggi descritti con la minuzia di un miniaturista, ma lunghe disquisizioni e poca azione ci ricordano che l’autore è tedesco, ha i suoi tempi (lenti) e il lettore si deve adeguare.
Così come deve aver pazienza per qualche inesattezza dal punto di vista tecnico: alcune frasi risultano oscure perché, evidentemente, è stato saltato un passaggio, come a pagina 142 dove la preziosa assistente del commissario, Nolwen, parla con qualcuno che non è stato nominato in precedenza e di cui non si comprende il ruolo.
Ma se non ci si lascia scoraggiare, superata la metà del romanzo, l’autore prende l’abbrivio e regala momenti di vera suspense e pathos, quasi avesse avuto bisogno di una lunga rincorsa prima di spiccare l’agognato salto. Peccato che poi rallenti di nuovo e questo tiro alla corda elastica risulta piuttosto snervante per il lettore speranzoso, che anelava pagine e pagine di sobbalzi e batticuori. Invece no, Dupin riprende i suoi interrogatori piuttosto piatti e lo sbadiglio ricomincia a serpeggiare, mentre la palpebra si appesantisce.
Diciamo che se si fosse trattato di una pubblicazione per caldeggiare il turismo in Bretagna, sarebbe stata perfetta. E’ come giallo che arranca con decisa fatica e dispiace parecchio, considerando la grande affezione che sento per quella regione e per la sua gente burbera, spiccia e concreta.
TRAMA
Brocéliande! Quanta storia, in un solo nome. L’ultimo regno delle fate, il cuore favoloso della Bretagna, la foresta in cui sono nati alcuni fra i miti più duraturi nella storia dell’umanità, la cui origine si perde nelle nebbie del tempo. È qui che sono ambientate le più belle vicende di re Artù, qui che l’ardito Lancillotto rompe l’incantesimo della maga Viviana, ed è sempre qui che il commissario Dupin – unendo l’utile al dilettevole – si reca in visita insieme agli ispettori Riwal e Kadeg e alla preziosa assistente Nolwenn. Era da tempo che i quattro progettavano una gita insieme, ma Dupin ha colto l’occasione anche per un incarico non ufficiale: raccogliere informazioni su un caso irrisolto per conto della polizia di Parigi. Peccato che l’uomo che Dupin dovrebbe interrogare, Fabien Cadiou, uno dei massimi esperti della leggenda arturiana, viene ritrovato morto in casa sua per un colpo d’arma da fuoco. Ben presto la conta dei cadaveri aumenta e, nonostante le sue resistenze, il caso viene definitivamente affidato a Dupin. Così, il gruppo investigativo improvvisato – al punto che il commissario è costretto a prendere appunti sul libretto della sua Citroën – si mette all’opera, per scoprire che le vittime avrebbero tutte dovuto partecipare a un convegno presso il Centre de l’Imaginaire Arthurien. E che ognuno degli studiosi del Centro ha un proprio tornaconto, non sempre rispettoso della magia del luogo. Il fascino e l’incanto della foresta si tingono così di una luce oscura, maligna. Ostile.
Traduzione: Chiara Ujka
Segreto bretone
LA FOLLIA SI MIMETIZZA NELLA NATURA OPULENTA di BARBARA MONTEVERDI A partire da Intrigo bretone, proseguendo con Risacca bretone e via via sino a quest’ultima opera, Jean-Luc Bannalec – ...