Barbara Monteverdi ha letto “La vita schifa” e l’ha, fin da subito, amato. (recensione). Adesso ha intervistato l’autore Rosario Palazzolo, che con questo romanzo stava quasi arrivando nella Dozzina dello Strega. Ma nel nostro cuore è lui il vincitore.

Uno dei punti di forza del suo libro (quello che per primo colpisce l’attenzione del lettore e lo incuriosisce) è il linguaggio. Come ha trovato questo stile originalissimo? E’ stato il risultato di una ricerca o si tratta di una specie di “lingua del cuore” che sente dentro ed ha trasposto sulla carta?

Io uso una lingua che sento inevitabile perché il perché non si può certo spiegare in poche battute, e in poche battute posso certamente dire che è una lingua anarchica, che tenta di far esondare il significato delle parole addosso al loro significante, e a ben rifletterci è un’operazione rivoluzionaria, e insieme fallimentare, regolamentata da una miriade di norme interne, con le quali lotto principalmente io, e per cui posso affermare che il cuore, in questa lingua, funziona come funziona quando qualcuno insegue qualcuno e ogni tanto gli pare di averlo acciuffato e invece non l’ha acciuffato e perciò occorre ancora correre, e insomma la lingua del cuore è semmai un risultato, un ricerca spasmodica, poi un bell’infingimento, e mai un punto di partenza, e infine aggiungo che il mio linguaggio non è altro che il tentativo di dare forma al concetto, una sorta di fisiognomica del pensiero, e io, quando il gioco riesce, sono solo un mistificatore scaltro, che è poi, a mio parere, la tipica caratteristica di coloro che hanno qualche rotella fuori posto, e immaginano il processo creativo come qualcosa da esplorare, piuttosto che da spiegare.

La sua esperienza di scrittura teatrale l’ha aiutata o, al contrario, è stato difficile trovare un passo differente nel raccontare?

Credo che nessuno aiuti nessuno, a questo mondo, e in effetti è un continuo sgomitare tra le due scritture, con l’aggravante che molti lettori – o spettatori – tentano costantemente di infilarmi dentro una qualche casella, è un problema immanente, direi fenomenico, per il quale da parecchio non mi preoccupo più.

Il Bene e il Male non si contrappongono mai nel racconto, anzi si intersecano come facessero parte della trama di un tessuto. Personalmente condivido in pieno questo sguardo, ma mi chiedo comunque se sia davvero disgraziato un popolo che ha bisogno di santi ed eroi. Perché non pare che l’alternativa sia costruttiva…

E del resto è così che funziona, la vita, da sempre, mi pare, è una contraddizione continua, e in effetti la differenza tra bene e male è una sorta di rompicapo, una faccenda di vita o di morte, io cerco di adeguarmi, faccio in modo che nelle mie opere le due visioni siano attigue, e perciò sguazzo nelle figure retoriche, modifico e amplifico i tempi verbali, le aggettivazioni, per dimostrare – dimostrare? – tutta l’incertezza e la contingenza dei punti di vista, è un gioco costruito di cesello, pieno zeppo di trucchi da prestigiatore, di soluzioni prodigiose e rischiosissime, molto difficili da attuare, lo ammetto, perché il disordine apparente tra bene e male è pressoché immaginario, appartiene alla nostra ideale prefigurazione di regole ancestrali, e noi ci identifichiamo con le regole e faremmo di tutto per le regole, per garantirci quel pezzetto di felicità che pensiamo ci spetti, e perciò operiamo dei distinguo netti, imbattibili, mutiamo i fatti circostanziali dell’esistenza in qualcosa di epistemologico, io invece tento la confusione, la messa in discussione delle certezze, soprattutto le mie, e decido di crollare con tutta la baracca, e del resto la baracca non può altro che crollare, a volerci riflettere.

Come vede l’evoluzione sociale di questi anni in Italia ed in modo particolare in Sicilia? Nell’isola è cambiato qualcosa? Quali sono (se ce ne sono) le differenze col resto del Paese?

L’evoluzione sociale è un miraggio, a mio parere, in generale, perché si fissa di volere tenere insieme più parti di un contesto complesso, e piuttosto un ragionamento più coerente e realistico dovrebbe tenere conto della parcellizzazione dei fattori, e invece la sociologia fa costantemente ciò che fa costantemente la sociologia, ovvero presuppone che esista un inventario ben articolato di conoscenze, di fenomeni, di conflitti, e quindi decide di misurarlo con i suoi algoritmi, di catalogarlo nei suoi libricini, e perciò devo ammettere che poco m’interessa, la sociologia, proprio per questo, per il suo fare costantemente la sociologia, e per l’appunto mi pare somigli alla metafisica quando si fissa con la metafisica, o alla geografia, per dire, che ancora si impunta a voler definire spazi e divergenze, e nel mentre il mondo diviene sempre di più un luogo monolitico, dove le uniche differenze sono quelle relative alle disuguaglianze: chi ha il diritto di vivere e chi di morire.

Ha avuto difficoltà a far accettare il suo manoscritto, così innovativo e particolare? E se sì, di che genere?

Moltissimi rifiuti, perlopiù silenziosi.

Ha in previsione qualche altro romanzo o si dedicherà esclusivamente al teatro?

Direi il teatro, che di solito, a livello tematico, è una deflagrazione, con la narrativa mi occupo dei detriti. Per cui, sono in attesa di un nuovo scoppio.

Grazie a Rosario Palazzolo. 

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