Intervista a Elizabeth Marple Robinson, pronipote della celebre Miss Marple: “Sotto tanti aspetti mia zia era una donna molto convenzionale. Però era un genio. Il crimine non aveva scampo con lei”.

Elizabeth Marple Robinson è una simpatica signora londinese, dalla voce limpida e dallo sguardo acuto. Abita in una vecchia casa piena di fascino, a pochi passi da Portobello Road, con le pareti rivestite di legno chiaro a stento visibili sotto le fotografie e i ritratti della sua vastissima famiglia. In uno è raffigurata un’anziana lady dai capelli candidi stretta in un attillato abito di pizzo nero: sua zia, Miss Jane Marple, una delle più celebri investigatrici della storia. Ecco i ricordi che Elizabeth ha raccontato a La Bottega del Giallo.

© disegni: Alice Vecchi

Elizabeth, la signorina Jane Marple è universalmente nota per l’eccezionale acume investigativo, che le ha permesso di risolvere decine e decine di casi. Sir Henry Clithering, commissario capo di Scotland Yard, sosteneva che la sua amica Jane aveva bagnato il naso a più d’un ispettore di polizia. Eppure quest’infallibile detective conduceva una vita appartata, non aveva grandi disponibilità economiche e vedeva per lo più sempre le stesse persone… Come spiega il fatto che uno dei maggiori geni investigativi di tutti i tempi abbia trascorso quasi tutta la sua esistenza in un minuscolo paese della provincia inglese?

Ah, beh, la famosa affermazione che non c’è niente di meglio della vita in un piccolo paese di provincia per conoscere a fondo la natura umana era una delle frasi preferite della zia Jane… Con Raymond West, mio cugino, che poi è diventato uno scrittore, discutevano spesso su questo soggetto. Raymond una volta disse che vivere in un paese come St. Mary Mead era come vivere in una morta gora, o qualcosa del genere. E la zia gli fece osservare che appena sotto il pelo dell’acqua uno stagno di solito brulica di vita…

E che comunque la natura umana è sempre la stessa…

Infatti… La zia Jane diceva che a questo mondo tutti gli avvenimenti si assomigliano e la natura umana è uguale dappertutto, solo che in un villaggio ci sono più possibilità e c’è più tempo per osservarla da vicino. E anche la vita di un villaggio è piena di crudeltà. Ma comunque a lei vivere a St. Mary Mead piaceva e offriva molte distrazioni. Era una vecchia signora arguta, forse un po’ troppo assuefatta alle sue abitudini, ma socievole e interessante. E poi, naturalmente, era un genio. Settoriale, forse, ma un genio. Il crimine non aveva scampo con lei.

Eppure la sua era un’esistenza simile a quella di tante altre vecchie signore di provincia con una modesta rendita, una casetta piena di ricordi e una certa predisposizione a interessarsi delle faccende del prossimo…

Oh, sì. Senz’altro. Per certi aspetti Jane era una donna molto comune, una vittoriana senza speranza, come diceva di sé. Le piaceva lavorare a maglia, osservare gli uccelli e occuparsi del giardino, partecipava regolarmente alle riunioni in casa del vicario e conosceva tutte le filastrocche e le tradizioni di una volta: il linguaggio dei fiori – orchidee rosse: attendo i vostri favori; tulipani gialli: amore senza speranza -, come ci si deve rivolgere a una persona titolata o il fatto che i giardinieri non lavorano il lunedì di Pentecoste (anzi, quest’ultima cosa una volta la aiutò a scoprire la verità in un caso abbastanza complicato). Quando divenne più anziana il dottor Haydock le sconsigliò di occuparsi personalmente del giardino e la cosa le dispiacque. Nonostante il suo aspetto fragile e antiquato – quegli abiti di pizzo grigio, i mezzi guanti, e quei capelli bianchi come la neve – aveva un carattere molto indipendente e faticava a accettare le limitazioni della vecchiaia.

Però a un certo punto dovette farlo per forza…

Sì, e si prese in casa una specie di tuttofare di mezz’età, la signorina Knight, per cucinare e sbrigare qualche commissione. E poi c’era Cherry, una graziosa giovane signora, che puliva la casa e faceva i mestieri più pesanti. Cherry le era molto simpatica: la zia Jane amava la gioventù e aveva sempre in casa una o due ragazze appena uscite dall’orfanotrofio di St. Mary Mead, che imparavano a pulire l’argenteria e a servire in tavola per poi cercar lavoro come domestiche. Ma tornavano sempre a trovarla e si confidavano con lei. La piccola Gladys, la domestica del signor Fortescue che venne trovata morta nel parco della villa con una molletta da bucato stretta sul naso, era stata appunto a servizio da mia zia. Jane si arrabbiò moltissimo quando venne sapere le circostanze della morte di quella ragazzina, e si mise subito in viaggio per scoprire l’assassino.

E naturalmente lo scoprì…

Certo! Sosteneva d’esserselo immaginato vedendo la moglie di lui, senza ancora niente di concreto su cui basarsi. Era una ragazza tanto carina, mi disse, ma il tipo di donna che sceglie sempre l’uomo sbagliato. E come al solito aveva ragione. Sotto il suo bell’aspetto e i modi da signore quel tizio era un tipaccio, che aveva premeditato freddamente l’assassinio di tre persone.

Evidentemente a sua zia la moglie di lui aveva fatto venire in mente qualche altra ragazza che conosceva…

Ah, è probabile! Quello di confrontare le nuove conoscenze con altre fatte in passato era il metodo preferito di zia Jane. Un vero e proprio metodo investigativo. Diceva che tutte le persone si assomigliano, e quindi una volta individuata una somiglianza era quasi certa di procedere nel modo giusto.

Comunque, se non sbaglio, Jane Marple era un po’ diffidente nei confronti dei mariti. Anche in un’altra occasione, su un’isola dei Caraibi mi pare, c’era di mezzo un marito apparentemente perfetto…

Il caso del maggiore Palgrave! Sì, anche là c’era di mezzo un bel marito, a prima vista assolutamente irreprensibile, ed era proprio un’isola dei Caraibi. Mio cugino Raymond aveva offerto una vacanza a zia Jane e lei aveva accettato. In seguito, quando il maggiore venne trovato morto, naturalmente lei si ricordò che lui le aveva parlato d’un assassino che era riuscito a farla franca e cominciò a pensare che potesse trovarsi sull’isola. E ovviamente aveva ragione. Anche per l’omicidio della povera Gladys in casa Fortescue c’entrava un marito… o meglio un falso fidanzato. Non ricordo i particolari, ma so che la zia scoprì la verità anche grazie a una vecchia filastrocca per ragazzi…

Mi diceva che la signorina Marple amava la gioventù…

Le piacevano i bambini, diceva che loro per fortuna non cambiano mai, e nutriva molta simpatia per i giovani. Era sempre pronta a dare una mano se qualcuno dei ragazzi o delle ragazze di sua conoscenza si trovava in difficoltà. In questo c’era forse in lei una vena di romanticismo. Tuttavia lo splendore della giovinezza non bastava a abbagliarla. Diceva che a volte giovani dal viso d’angelo si erano resi colpevoli dei più atroci delitti.

Però era molto generosa con chi lo meritava.

Certo. Megan Hunter, la figlia di quella donna di Lymstock che morì a causa della Penna Avvelenata (se ne ricorda? Qualcuno aveva cominciato a far circolare delle lettere anonime, e una donna s’era uccisa per timore dello scandalo… e poi anche una giovane cameriera venne trovata cadavere in un ripostiglio) mi raccontò che la zia Jane l’aveva aiutata a scoprire chi si nascondeva dietro quell’infame faccenda delle lettere, e perché. Le era stata vicina, mi disse, in un momento in cui aveva avuto bisogno di tutto il suo coraggio. Megan poi ha sposato Jerry Burton, che s’era trasferito a Lymstock pochi mesi prima e aveva collaborato alle indagini. E tutt’e due frequentavano regolarmente la zia. Lei ha fatto a maglia il corredo per la loro piccola Jo.

I corredini che sferruzzava sovrappensiero mentre era intenta a risolvere qualche mistero! Credo ci sia persino un ritratto che raffigura sua zia con i ferri da calza in mano…

Jane amava sferruzzare, diceva che la aiutava a concentrarsi. Quando la sua vista divenne più debole faticava a contare i punti e doveva ricorrere all’aiuto della signorina Knight…

La tuttofare di mezz’età? Mi sembra di ricordare che sua zia non ne fosse del tutto soddisfatta…

Della Knight la zia Jane si liberava appena poteva, magari spedendola all’altro capo della città con qualche incarico complicato e difficoltoso, in modo da tenerla fuori di casa il più a lungo possibile. Non era tanto la sua presenza a darle noia, mi diceva anzi che sotto certi aspetti era un tesoro, quanto il fatto che la trattasse un po’ come una bambina, un oggetto fragile, come succede a volte a chi ha a che fare con le vecchie signore. Le proponeva di continuo una buona tazza di tè caldo o un uovo sbattuto, e le suggeriva di starsene al caldo a riposare… Così Jane le dava delle commissioni da sbrigare e se la svignava appena l’altra svoltava l’angolo. Fu durante una di queste spedizioni della Knight che mia zia uscì a fare un giretto nel Nuovo Quartiere e s’imbatté nella signora Baddock, che poi fu assassinata durante il ricevimento nella villa di Marina Gregg…

La villa che era appartenuta alla sua vecchia amica, la signora Bantry?

Sì, ma la signora Bantry era stata felicissima di venderla. Dopo la morte del marito, il colonnello Bantry, era diventata troppo grande per lei. Così la vendette a quell’attrice, Marina Gregg e si trasferì nella casetta del giardiniere. In quella villa dovevano esserci strane influenze. Fu là, in biblioteca, che trovarono quella ragazza morta, anche se poi Jane scoprì che non era stata affatto uccisa lì, ce l’avevano portata dopo, e in quella casa trovarono la morte altre due donne, sempre dopo il ricevimento della Gregg e la morte per avvelenamento di Heather Badcock.

La signorina Marple credeva nel sovrannaturale, per dir così? Le strane influenze alle quali ha accennato…

Non penso che amasse indulgere nelle spiegazioni basate sul sovrannaturale, ma neppure che ne escludesse decisamente la presenza. Sosteneva ad esempio che in una casa dei dintorni, I Larici, l’atmosfera fosse tristissima. Il vecchio signor Smithers aveva perso tutto il suo denaro ed era stato costretto a lasciarla, poi l’avevano presa i Carslake e lui cadde e si ruppe una gamba, mentre la signora dovette trasferirsi nel sud della Francia per motivi di salute… Penso che la zia Jane fosse convinta che l’atmosfera di quella casa influisse sulle vite di chi vi abitava. Mi raccontava spesso che entrando nella vecchia casa delle tre sorelle Bradbury-Scott – le zie di Verity, quella ragazza scomparsa nel nulla e poi trovata morta in una cava, o così si pensava… era sfigurata, sa – aveva percepito una malinconia penetrata troppo profondamente perché la si potesse dissipare. E infatti il Vecchio Maniero, la casa si chiamava così, nascondeva un segreto spaventoso…

Un po’ come la villa sul mare dove fu ritrovato il corpo di Helen Kennedy…

La casa dei Reed a Dillmouth? Sì, la conosco. Giles e Gwenda Reed erano grati a mia zia per averli aiutati a risolvere il mistero del cadavere rinvenuto in giardino e si tennero sempre in contatto con lei. La invitavano a trascorrere da loro le vacanze di Pasqua e le mandavano gli auguri di Natale. Certo, la zia Jane mi raccontò che in realtà Gwenda aveva vissuto là da bambina, pure se poi l’aveva dimenticato, e dunque quelle che ebbe non furono vere visioni, ma ricordi. Vivendo in quella stessa casa, capisce, le tornò tutto in mente. Bambina, aveva assistito non vista all’assassinio della povera Helen nell’ingresso, ma la cosa l’aveva spaventata a tal punto da dover essere dimenticata, o rimossa, come si direbbe oggi.

Niente di strano, allora…

In realtà Gwenda era convinta che in qualche modo fosse stata Helen a chiamarla, facendole scegliere proprio quella casa una volta tornata in Inghilterra. Diceva che durante la prima visita in compagnia della vedova Halgrave, scendendo le scale e sebbene la casa stessa le piacesse moltissimo, aveva percepito un’ondata d’inspiegabile terrore, tanto da spingerla a domandare alla Halgrave se di recente là fosse morto qualcuno. La casa, aggiungeva, era cambiata dopo la scoperta del cadavere e ancor più dopo che l’assassino di Helen era stato catturato. Sosteneva che solo da quel momento la casa aveva cominciato a volerle bene. E infatti laggiù lei e Giles sono stati molto felici.

E dei sogni, Jane Marple che ne pensava? Erano gli anni in cui si cominciava a leggere Freud…

Non penso che la zia Jane avesse letto Freud. Però i sogni le interessavano e spesso ho pensato che ne avesse intuito il carattere di rivelazione in codice della realtà. Ad esempio Jerry Burton, quell’amico di cui le accennavo, mi ha raccontato che mentre cercavano di risolvere il mistero della Penna Avvelenata gli capitò d’addormentarsi in poltrona e di sognare. Un sogno confuso, apparentemente illogico, che però Jane s’era fatta raccontare nei particolari… In seguito, quando il mistero venne risolto e l’assassino assicurato alla giustizia, la zia disse a Jerry che era stato il suo sogno a metterla sulla buona strada e lo esortò ad aver più fiducia in sé stesso. Gli disse che il sogno era stato il mezzo con cui l’inconscio aveva cercato di fargli capire che lui aveva intuito la verità, ma non essendo sicuro di sé non riusciva a portarla a galla, o qualcosa del genere. Un’analisi degna d’uno specialista di Harley Street, non le pare?

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