ARTE, MISTERI (E TRUFFE) NEL SECONDO DOPOGUERRA
di BARBARA MONTEVERDI
Che libro! Che emozione leggere di come le opere d’arte presenti in Italia siano state razziate da Hitler e Goering e ammassate – parte in Alto Adige e parte nella miniera di sale di Altaussee nelle Alpi austriache – fino al loro quasi miracoloso, parziale, ritrovamento. Parziale perché, per una serie di truffe simili al gioco delle tre carte, una porzione consistente di queste tele è finita in Serbia (con il coinvolgimento, se non altro per la poca accuratezza nell’agire, degli Americani preposti al controllo della restituzione) e ora sono esposte nel Museo Nazionale di Belgrado.
Ma la storia è complessa, oltre che dolceamara, perciò possiamo cominciare a gioire per il ritrovamento di capolavori come l’Apollo di Pompei, gli Ori di Napoli, la Lavinia e la Danae di Tiziano, Adamo ed Eva di Cranach, la Madonna del Velo di Sebastiano del Piombo e non proseguo per non farvi la lista della spesa, ma l’elenco sarebbe lunghissimo e stupefacente.
Dietro questi salvataggi sta la figura contrastata e controversa di Rodolfo Siviero, il funzionario che per lunghi anni reggerà l’Ufficio Recuperi delle Opere d’Arte trafugate dai tedeschi, personaggio volitivo: fascista della prima ora e poi antifascista, autonomo, indipendente, agirà sempre in disprezzo alla burocrazia, un nemico da distruggere. Il suo preziosissimo lavoro è stato, però, interrotto dalla morte nel 1983 e ora – oltre ai sunnominati capolavori in mano serba – ci sarebbe da volgere lo sguardo anche alla ex Unione Sovietica la quale, dopo aver subìto il saccheggio dei propri beni durante l’invasione nazista, si rifece senza andare troppo per il sottile alla fine della guerra: è stato così che molte opere trafugate dai nazisti in Italia si trovano oggi in Russia, nei caveaux dei principali musei di Mosca, San Pietroburgo e compagnia cantando. E la guerra in Ucraina, che si è sommata al pallidissimo interesse dei vari governi italiani per richiedere la restituzione delle opere, non ha certo agevolato la soluzione del contendere.
Ma l’avventura delle opere di proprietà italiana si tinge dei colori della spy story nel caso della trafugazione con destinazione Belgrado. Qui subentra un personaggio sul quale sarebbe opportuno scrivere (sempre che non sia già stato fatto) un romanzo a parte, data la complessa vicenda che è riuscito a erigere: Mate Ante Topic, alias Mimara, pare si chiamasse in realtà Mirko Maratovic, nato il 16 Marzo 1897 a Spalato, in Croazia. Negli anni Venti agiva con il nome di Conte Mirko Pyelik-Inna e pare fosse stato protagonista del furto di un dittico in avorio dalla cattedrale di Zagabria. Noi lo incontriamo nell’immediato dopoguerra nelle vesti di faccendiere e curatore degli interessi culturali dell’allora Jugoslavia. Tramite i suoi maneggi, riesce a impossessarsi di opere che vengono dirottate a Belgrado in modo a dir poco improprio, ma quando le autorità preposte al controllo tentano di rientrare in possesso del maltolto, Mimara è irreperibile. Secondo i Servizi americani, Mimara era una spia e agiva probabilmente come agente segreto jugoslavo infiltrato in Germania nella cosiddetta “american zone”. Ma dove si trovava in quel momento? Una fonte confidenziale lo dava in Sud America dove, insieme a lui, era spuntata una collezione d’arte che aveva cercato di piazzare. Ecco un’ulteriore strada presa dalle opere d’arte, chissà quali e chissà di chi.
Fin qui, tutto molto interessante e avvincente, ma la lettura diventa più faticosa quando si affronta l’inchiesta apertasi dopo un’esposizione di opere in possesso della Jugoslavia nella mostra itinerante tra Bologna e Bari e intitolata Da Carpaccio a Canaletto. Tesori d’arte italiana dal Museo Nazionale di Belgrado. La mostra resta aperta dal 27 Novembre 2004 al 24 Aprile 2005, dopodiché le tele vengono restituite ai cosiddetti proprietari e tornano nelle sale del museo serbo. Passeranno nove anni prima che, piuttosto casualmente, ci si chieda come mai le opere transitate in Italia non siano state oggetto di attenzione da parte delle autorità; finalmente ci si muove e, tra audizioni, rogatorie e sentenze, il racconto diventa piuttosto impegnativo perché decisamente tecnico, non facile da seguire e rivolto soprattutto agli addetti ai lavori.
Però, ormai ci si è fatta un’idea completa della situazione, da cui difficilmente si riuscirà ad uscire con un accordo soddisfacente e – soprattutto – si presume che i tempi saranno biblici.
Lettura non confortante, ma sicuramente istruttiva, rivolta a chi ama andar per mostre con occhio critico e tanta curiosità.
TRAMA
La truffa viene preparata per mesi e si consuma in due giorni, il 2 e il 10 giugno 1949, quando 166 oggetti lasciano per sempre il palazzo di Monaco di Baviera dove gli Alleati avevano stipato l’arte saccheggiata dai nazisti nei Paesi occupati. Li ha portati via con l’aiuto della moglie il croato Ante Topic Mimara, mezza spia e mezzo imbroglione, accreditandosi come rappresentante jugoslavo. I beni raggiungono Belgrado e vengono incamerati dal Museo nazionale. Qui rimangono per anni, catalogati e restaurati con l’aiuto del Governo italiano e di alcune Sovrintendenze. Una collaborazione che porta quei dipinti “ricercati” in mostra, anche a Bologna. Nasce così una incredibile indagine, sulle tracce di opere di artisti importanti, come Tintoretto e Carpaccio. Otto, ma probabilmente di più.