PRESENTAZIONE

Quando si parla di lui, Michael Robotham, mi viene in mente una frase che lessi sul suo sito. Cito approssimativamente: “Ogni volta che esce un libro di Robotham, anche se ho una pila enorme di libri da leggere, lui passa subito in cima”. Questa frase l’ha detta Stephen King e ci fa intendere chi sia Robotham, uno scrittore di thriller capace di calamitare il maestro e di tenerlo al laccio, a tal punto che ogni uscita per King è un piacere.

Robotham è un grande thrillerista australiano che è stato tradotto in italiano fino al 2010. Lui ha continuato a scrivere ma nel nostro bel paese se ne sono perse le tracce. Grazie a Fazi oggi torna nelle librerie con il suo romanzo del 2019 “Good girl, bad girl”. Qui potete leggere la trama ed un estratto del romanzo… E correte subito in libreria.

TRAMA

Una ragazza viene trovata, nascosta in una stanza segreta, all’indomani di un terribile delitto avvenuto a pochi metri da lei. Sporca e affamata, si rifiuta di dire il suo nome, la sua età, da dove viene. Forse ha dodici anni, forse quindici. Sei anni dopo, ancora non identificata, vive in un orfanotrofio con un nuovo nome, Evie Cormac. Quando avvia una causa in tribunale per rivendicare la sua indipendenza perché adulta, lo psicologo forense Cyrus Haven deve determinare se Evie è pronta per essere libera. Ma lei è diversa da chiunque abbia mai incontrato: affascinante e pericolosa in egual misura; Evie capisce subito quando qualcuno sta mentendo. E nessuno intorno a lei dice la verità. Nel frattempo, Cyrus viene chiamato a indagare sullo scioccante omicidio di una campionessa di pattinaggio artistico del liceo, Jodie Sheehan. Bella e popolare, Jodie è ritratta da tutti come la ragazza della porta accanto, ma mentre Cyrus indaga, emerge una vita segreta. Cyrus è intrappolato tra i due casi: una ragazza che ha bisogno di essere salvata e un’altra che ha bisogno di giustizia. Che prezzo pagherà per la verità?

ESTRATTO

Guthrie mi aspetta in un pub chiamato The Man of Iron, un nome ispirato alla vicina ferriera Stanton, che ha chiuso i battenti anni fa. Se ne sta appollaiato su uno sgabello con un boccale vuoto tra i gomiti e guarda il barista che spilla un’altra pinta.

«Sei un cliente fisso?», chiedo, sedendomi accanto a lui.

«È la mia via di fuga», risponde. Le sue dita sono tozze e pallide, porta una fede a tre fasce. 

Il barista chiede se voglio qualcosa. Scuoto la testa e Guthrie sembra deluso di bere da solo. Alle sue spalle vedo una sala con un tavolo da biliardo e delle slot machine che suonano e lampeggiano come una giostra da luna park.

«Ti trovo bene», dico. Mentendo. «Com’è la vita coniugale?».

«Stupenda. Fantastica. E mi fa ingrassare». Si dà un colpetto sullo stomaco. «Dovresti provare anche tu».

«A ingrassare?».

«Il matrimonio».

«I bambini come stanno?».

«Crescono come le erbacce. Ne abbiamo due adesso, un maschio e una femmina, di otto e cinque anni».

Non mi ricordo come si chiama la moglie ma se non sbaglio è dell’Europa dell’Est, ha un accento marcato e il giorno del matrimonio indossava un vestito che sembrava un prodotto artigianale riuscito malissimo. Guthrie l’ha conosciuta quando faceva l’insegnante part time in una scuola d’inglese a Londra.

«Che te n’è parso di Evie?», chiede.

«È una vera incantatrice».

«È una di loro».

«Una di loro?».

«Una macchina della verità».

Trattengo una risata. Lui sembra risentito.

«L’hai vista. Sapeva quando mentivano. È una maga della verità… proprio come hai scritto tu».

«Hai letto la mia tesi?».

«Parola per parola».

Faccio una smorfia. «Ma è roba di otto anni fa».

«È stata pubblicata».

«E concludevo dicendo che i maghi della verità non esistono».

«No, dicevi che rappresentano una percentuale minima della popolazione – forse uno su cinquecento – e che i migliori hanno un tasso di precisione dell’ottanta per cento. Hai anche scritto che qualcuno potrebbe sviluppare capacità ancora maggiori, una persona che non sia disturbata dalle emozioni o dalla scarsa dimestichezza con il soggetto. Qualcuno che funzioni a un livello superiore».

Cristo, l’ha letta davvero!

Vorrei interrompere la conversazione e dire a Guthrie che si sbaglia. Ho passato due anni a fare ricerche sui maghi della verità, leggendo tutto il materiale sull’argomento, analizzando gli studi fatti e sottoponendo a test più di tremila volontari. Evie Cormac è troppo giovane per essere una maga della verità. Di solito sono di mezza età o più anziani, in grado di attingere alle proprie esperienze in certe professioni, come investigatori, giudici, avvocati, psicologi e agenti dei servizi segreti. Gli adolescenti sono troppo occupati a guardarsi allo specchio o a studiare i loro telefonini per riuscire a interpretare quei mutamenti sottili, quasi impercettibili, nelle espressioni del viso altrui, o le sfumature del linguaggio del corpo o del tono di voce.

Guthrie sta aspettando la mia risposta.

«Penso che ti sbagli», dico.

«Però l’hai vista anche tu».

«È un’adolescente molto sveglia, manipolatrice».

L’assistente sociale sospira e scruta l’interno del boccale semivuoto. «Mi ha spinto lei a questo».

«A cosa?».

«A bere. Secondo il mio medico ho il corpo di un sessantenne: pressione alta, tessuto adiposo intorno al cuore e cirrosi al limite».

«E come può essere colpa di Evie?».

«Ogni volta che parlo con lei vorrei raggomitolarmi e singhiozzare. All’inizio dell’anno mi sono preso due mesi di aspettativa per stress, ma non è servito. Adesso mia moglie minaccia di lasciarmi se non accetto di vedere un consulente matrimoniale. Una cosa che non ho detto ad anima viva, ma chissà come Evie lo sapeva».

«Come?».

«Secondo te?». Guthrie non aspetta la mia risposta. «Credimi, Cyrus. Riesce a intuire quando gli altri mentono».

«Anche se fosse vero, non capisco perché sono qui».

«Potresti aiutarla».

«Come?».

«Evie ha rivolto un’istanza al tribunale per essere rimessa in libertà, ma non è pronta a lasciare Langford Hall. È dislessica. Asociale. Non ha amici. Nessuno viene mai a trovarla. È un pericolo per se stessa e per gli altri».

«Se ha diciott’anni, ha il diritto di andarsene».

Guthrie esita e si allarga il colletto.

«Nessuno sa la sua vera età».

«Come sarebbe a dire?».

«Non c’è nessun atto di nascita».

Lo guardo sorpreso. «Qualcosa ci sarà… una cartella clinica, il referto di un’ostetrica, le iscrizioni scolastiche…».

«Non esiste documentazione».

«È impossibile».

Guthrie si prende un momento per finire la birra e fa segno al barista di spillargliene un’altra. Abbassa la voce fino a un sussurro. «Quello che sto per dirti è estremamente riservato. Segretato, intendo. Non puoi farne parola con nessuno».

Mi viene da ridere. Guthrie è la spia meno credibile della storia.

«Dico sul serio, Cyrus».

«Ok. Ok».

Arriva la sua birra. La poggia al centro di un sottobicchiere di cartone e aspetta che il barista si allontani. Un raggio di sole penetra obliquo da una finestra. Il pulviscolo che si riverbera nell’aria dà al pub l’atmosfera di una chiesa, e a noi l’impressione di essere in un confessionale.

«Evie è la ragazza nella scatola».

«Chi?».

«Faccia d’angelo».

Capisco subito a chi si riferisce, ma voglio ribattere. «Non può essere».

«È lei».

«Ma è successo…».

«Sei anni fa».

Mi ricordo la storia. Una ragazzina trovata in una stanza segreta in una casa di Londra nord. Si pensava che avesse undici o dodici anni, e pesava meno di una bambina di sei. Una creatura dai capelli incolti, lo sguardo allucinato e l’aspetto ferino, più animale che umano, che avrebbe potuto essere stata allevata dai lupi.

A pochi metri di distanza dal suo nascondiglio la polizia aveva ritrovato il corpo in decomposizione di un uomo torturato a morte, seduto in posizione eretta su una sedia. La ragazza aveva convissuto con il cadavere per mesi, uscendo di nascosto per rubare da mangiare e condividerlo con i due cani rinchiusi nel giardino.

Quelle prime immagini avevano fatto il giro del mondo. Mostravano una poliziotta ausiliare fuori servizio che varcava le porte di un ospedale portando con sé una bambina piccola. La bambina non si lasciava toccare da nessun altro e le sue uniche parole erano per chiedere da mangiare e se i cani stavano bene.

Le infermiere la soprannominarono “Faccia d’angelo” perché dovevano chiamarla in qualche modo. I particolari della sua prigionia dominarono le notizie per settimane. Tutti avevano una domanda. Chi era? Da dove veniva? Com’era sopravvissuta?

Guthrie sta aspettando che mi rimetta in pari.

«Non è mai stata identificata», spiega. «La polizia le ha tentate tutte: archivio delle persone scomparse, radiografie ossee, esame del DNA, degli isotopi stabili… La sua fotografia ha fatto il giro del mondo, ma non è venuto fuori niente».

Come poteva una bambina apparire dal nulla, senza lasciare traccia della sua nascita o della sua esistenza?

Guthrie continua. «È stata posta sotto la tutela del tribunale dei minori e le hanno dato un nuovo nome: Evie Cormac. Per ordine del ministro degli Interni è stato applicato anche l’articolo 39, che vieta a chiunque di rivelare la sua identità o dove vive, di fotografarla e filmarla».

«Chi lo sa?», chiedo.

«A Langford Hall, soltanto io».

«Perché si trova qui?».

«Non c’è altro posto».

«Non capisco».

«L’hanno data in affidamento a una decina di famiglie diverse, ma ogni volta o scappava o la rimandavano indietro. Ha avuto anche quattro operatori socioassistenziali, tre psicologi e Dio sa quanti assistenti sociali. Io sono l’ultimo rimasto».

«Com’è il suo stato di salute mentale?».

«Ha passato tutti i test psichiatrici, da Balthazar a Winslow».

«Ancora non capisco perché sono qui».

Guthrie beve due dita della sua pinta e si guarda attorno.

«Come ho detto, Evie è sotto tutela del tribunale, quindi è l’Alta Corte a prendere tutte le decisioni importanti per la sua salute, mentre l’amministrazione locale controlla la gestione quotidiana. Due mesi fa, ha presentato un’istanza per il riconoscimento della maggiore età».

«Se si ritiene che abbia diciotto anni, ne ha tutto il diritto».

Guthrie mi guarda mesto. «È un pericolo per se stessa e per gli altri. Se ci riesce…». Rabbrividisce, e non è in grado di finire. «Immagina di avere le sue capacità».

«Ne parli come se fosse un superpotere».

«Infatti», dice lui, serio.

«Secondo me stai esagerando».

«Ti ha individuato subito».

«Essere perspicace non fa di qualcuno un mago della verità».

Inarca le sopracciglia, come se da me si aspettasse di più.

«Stai cercando di liberartene, mi pare», dico.

«Magari», risponde lui, «ma non è questo il motivo. Sinceramente pensavo che potessi aiutarla. Gli altri hanno fallito tutti».

«Ha mai parlato di quello che le è successo… nella casa, intendo?».

«No. A suo dire, non ha un passato, non ha famiglia e non ha ricordi».

«Li ha rimossi».

«Può darsi. Allo stesso tempo, mente, confonde, getta ombre e svia. È un incubo».

«Non mi pare una maga della verità», dico.

«Va bene».

«Che documenti puoi mostrarmi?».

«Te li farò avere. Alcuni dettagli iniziali sono stati espunti per proteggere la sua nuova identità».

«Hai detto che Evie ha rotto la mascella a qualcuno. Chi era?», chiedo.

«Un membro del personale le ha trovato duemila sterline in camera. Ha pensato che Evie le avesse rubate e le ha prese lui, dicendo che le avrebbe consegnate alla polizia».

«Che cosa è successo?».

«Evie sapeva che stava mentendo».

«E lei dove li ha presi quei soldi?», chiedo.

«Ha detto che li ha vinti a poker».

«È possibile?».

«Non scommetterei contro di lei».

 

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