POCO CONSIGLIABILE VIVERE SULLE SABBIE MOBILI IN ISLANDA
di MANUEL FIGLIOLINI
Il libro mantiene ciò che promette sin dal titolo: un castello, una montagna, un aggrovigliarsi di menzogne raccontate in prima persona da una donna che esordisce confessando di aver abbandonato il marito su uno scoglio in mezzo a un fiordo in una notte piovosa e fredda di fine Ottobre. In Islanda, non alle Hawaii, tanto per intenderci.
Dopo pochissime pagine, il lettore dubita anche del prologo e si chiede angosciato cosa sia successo veramente e quale matassa ingarbugliata stia cercando di sbrogliare la donna che parla, una bugiarda compulsiva, anaffettiva, che qualsiasi essere umano dovrebbe tenere a distanza e che è riuscita addirittura ad accalappiarsi un marito. Poveretto. Poveretto? Forse.
Ecco, parliamo del marito che ha un nome – contrariamente alla voce narrante, almeno all’inizio – : Giò. Giò atletico e di bella presenza, Giò freddino in amore (davvero? mah), Giò che pratica l’aikido, Giò laureato in architettura e design, Giò silenzioso.
Lei, dopo averlo lasciato solo su un sasso circondato dal mare, vorrebbe capire cosa ne è stato di lui, pare scomparso, non è più dove lo aveva abbandonato e per venire a capo del mistero che fa? Mente, naturalmente, a chiunque si rivolga.
Ad ogni modo, ero seduta nella bella casa di Maria. Stavo seduta al tavolo della cucina in cui preparava i suoi piatti irresistibili e le mentivo sulle circostanze della scomparsa di mio marito. Le dissi senza alcuna vergogna che Giò aveva espresso l’intenzione di andare da lei quando si era precipitato fuori dalla porta, ma se devo essere sincera, Giò non aveva mai fatto cenno a una visita a mia sorella. Anzi, a dire il vero evitava sempre di accennare a Maria o parlare di lei davanti a me, e nella mia testa aveva i suoi buoni motivi per tacere. Ricorsi all’ignobile trucco della menzogna. Era giustificabile dire qualcosa di falso, se la verità si portava dietro rovina e sofferenza.
Risulta piuttosto frustrante seguire le elucubrazioni della protagonista, anche se i capitoli sono brevi, spesso brevissimi, talvolta di una sola facciata. Però il suo monologo pieno di contraddizioni, ripensamenti, abbellimenti dà al lettore l’impressione di muoversi a fatica in un solaio ingombro di oggetti inutili, non si riesce a mettere un punto alla vicenda, si barcolla come sulla tolda di una piccola imbarcazione che naviga su acque inquiete. Penso di aver reso l’idea: bisogna aver pazienza e sperare in uno sviluppo più articolato della storia.
Intanto, a pagina 116 scopriamo che lei si chiama Jùlìa M. e già darle un nome sembra dissipare un po’ la foschia, ma non bisogna eccedere in ottimismo perché subito dopo accade qualcosa che, se fosse vera, ci riporterebbe nel caos. Se fosse vera. E chi lo sa? Forse Jùlìa, ma non è certo neppure questo.
Sconfortante, è l’aggettivo che ritengo più adatto per questo romanzo psicologico dall’azione quasi nulla, ma zeppo di cortocircuiti mentali. La quarta di copertina parla di thriller, ma francamente mi pare più la sceneggiatura maldestra di un film che vuol mischiare Bergman e Fellini: atmosfere algide, personaggi onirici (e strampalati, più che grotteschi, un po’ tutti), tempi di narrazione dilatati, finale aperto e insoddisfacente.
Anche gli amanti degli autori nordici dovranno dare fondo a tutta la loro pazienza per concludere la lettura serenamente.
TRAMA
Reykjavik. In una fredda giornata di ottobre, la scrittrice Júlía salpa su una barca per Geirshólmur, un isolotto deserto a pochi chilometri dalla costa islandese, insieme a suo marito Gíó. Su quel lembo di terra ghiacciato e impervio svolgerà delle ricerche per un articolo che sta scrivendo sulle eroine delle saghe islandesi. Una volta sull’isola, però, i due hanno una violenta lite, e Júlía fa ritorno da sola in città. Poco dopo, spinta dal rimorso, Júlía torna a Geirshólmur… ma di Gíó non c’è traccia. È impossibile che sia sopravvissuto a una nuotata attraverso le acque gelide, ed è improbabile che qualcuno l’abbia soccorso. Ma allora come spiegare la misteriosa telefonata che Gió ha fatto al lavoro per avvertire che non ci sarebbe stato? E chi è l’uomo visto aggirarsi nel suo giardino? Ma soprattutto, come farà Júlía a convincere la polizia che non è coinvolta nella scomparsa di suo marito? Sullo sfondo della remota Islanda, un thriller psicologico ad altissima tensione che, tra flashback e colpi di scena, rivela uno dopo l’altro inquietanti dettagli, fino all’inaspettato finale. Narrata in prima persona da una testimone che, alla stregua di uno scaltro Mr. Ripley, si dichiara totalmente inaffidabile, una storia al cardiopalmo che avviluppa il lettore nella sua tela, trascinandolo in una corrente che non lascia scampo.
Traduzione: Silvia Cosimini
Un castello di bugie
POCO CONSIGLIABILE VIVERE SULLE SABBIE MOBILI IN ISLANDA di MANUEL FIGLIOLINI Il libro mantiene ciò che promette sin dal titolo: un castello, una montagna, un aggrovigliarsi di menzogne ...