A SCUOLA SI IMPARA A VIVERE…E A MORIRE
di BARBARA MONTEVERDI
Parte a singhiozzo, questo giallo che ricorda nelle atmosfere un polar francese di quelli odierni. Le primissime pagine sono formate da frasi non più lunghe di un paio di righe, dando l’impressione (faticosa) di leggere una serie di telegrammi, poi l’autore si scioglie un po’ e il racconto procede di buon passo, avvolgendo rapidamente il lettore in un abbraccio umido e scuro come la Roma descritta sotto una pioggia gelida e costante.
Per arrivare a Fidene bisogna fare la Salaria, che corre tra il fiume e la campagna attraversando grumi di periferia. I fari dell’automobile scavavano nel buio due coni di luce solcati dalle righe di una pioggia soffice, quasi vaporizzata. Fidene è un’avanguardia di Roma verso il nord, costruita su uno sperone di tufo. Culmina in una schiera di palazzi enormi, grigi che si prendono tutto il vento che soffia dalla pianura del Tevere.”
Che il sovrintendente di polizia protagonista di questa storia si chiami Tribolato ci sta tutto: è tribolato di nome e di fatto. Cupo, scontroso, scontento pare lavorare per forza d’inerzia, perché a casa nessuno lo aspetta, amici non sembra averne e neppure desiderarne e deve solo lasciare che la vita passi. Assieme alla sua rabbia sorda. Un uomo violento, tendente a farsi giustizia da sé, anaffettivo per difesa e indifferente per abitudine. Un tipo così poco empatico (e simpatico) si ritrova obtorto collo a indagare sull’omicidio di un ex compagno di classe dei tempi del liceo e i ricordi che gli tocca rivangare non sono migliori della squallida realtà che vive giornalmente.
Come si può arguire, il racconto non è rasserenante, ma l’immagine di una Roma quasi irriconoscibile nell’umida fanghiglia di pozzanghere stradali e aiuole spugnose come acquitrini è piuttosto insolita e intrigante. Peccato qualche svista nella rilettura finale del testo, come l’incongruenza del cellulare prima trovato vicino ad un ferito e, quattro pagine dopo, mai rinvenuto, né accanto al ferito, né nella sua casa sulla Flaminia.
Perdoniamo l’inciampo, anche se è piuttosto vistoso, perché l’ambientazione è originale, i personaggi tutti parecchio problematici e la curiosità di scoprire come (e se) il truce, sciattissimo, Tribolato supererà i suoi impicci, ci obbliga a proseguire la lettura a ritmo serrato.
Alla fine – una fine non particolarmente consolatoria, va detto a merito dell’autore – non saremo stati travolti dalla suspense, avremo un vago senso di depressione a serrarci la gola, ma ci sentiremo soddisfatti per aver letto qualcosa di nuovo sia per quanto riguarda l’ambientazione che per la trama realistica e non scontata.
TRAMA
Un gruppo di ex compagni di liceo si ritrova, inaspettatamente, a causa di un delitto: un poliziotto, un avvocato, uno sfasciacarrozze, un commercialista, un commesso di un negozio di calzature. Gli anni della scuola fanno nascere rapporti e sentimenti indelebili. In quel periodo, che solo una retorica superficiale può dipingere come il più bello dell’esistenza, possono crearsi forti amicizie, ma anche odi. È il loro caso. E pesa, tra loro, un altro meccanismo inesorabile che segna la storia di chi ha fatto parte di una classe: in quel tempo di vite acerbe, a ognuno viene assegnata una maschera. C’è chi comanda e chi deve subire. Poi ciascuno – di fronte all’avventura della vita – cambia, viene cambiato. Ma chi comandava allora pretende che quelle vecchie maschere valgano sempre…
Ascolta l’incipit letto da Barbara:
Gli anni belli
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