Oggi vi parliamo del romanzo di esordio di uno scrittore brasiliano che poi divenne un grande esponente della letteratura sudamericana. Oggi vi parliamo di Rubem Fonseca, ex-poliziotto che si dedica alla scrittura e caratterizza i suoi romanzi con un forte lirismo e giusta crudeltà. Una voce da non perdere, per questo dopo la trama potete trovare un estratto del suo romanzo “Il caso Morel” edito da Fazi Editore, e tradotto da Daniele Petruccioli.

TRAMA

Vilela, ex commissario diventato scrittore di gialli, incontra in prigione Paul Morel, artista incarcerato con l’accusa di avere assassinato barbaramente una delle sue amanti, il cui cadavere è stato ritrovato su una spiaggia di Rio de Janeiro. È stato Morel a chiedere di vedere Vilela, per fargli leggere dei brani di un manoscritto in cui racconta la sua vita e (chissà?) la verità sull’omicidio. L’ex commissario, che è in crisi creativa, accetta di leggere il libro, sempre più intrigato dall’ambiente descritto dall’artista: da una parte il gran mondo carioca tra il perverso e il gaudente, fatto di orge in grandi appartamenti lussuosi a Copacabana e di piccole angherie borghesi; dall’altra un sottobosco di prostitute, delinquenti e immigrati dalle zone povere del Brasile. Procedendo nella lettura, a Vilela viene voglia di indagare sul delitto. A poco a poco, i nomi dei personaggi vengono sostituiti da quelli reali, le scene del libro si sovrappongono a quelle della vita vera, Vilela a Morel, i romanzi ai diari, fino alla risoluzione dell’enigma… O forse era la fine del romanzo? Pubblicato nel 1973 e da subito bestseller oltre ogni aspettativa, Il caso Morel aprì la strada a un’incredibile carriera: un romanzo geniale, costruito da una penna di prim’ordine, colto ma fatto per piacere a tutti, capace di attingere al basso per farne alta letteratura.

ESTRATTO

Matos e Vilela si incontrano davanti al penitenziario. Da solo Vilela non riuscirebbe facilmente a entrare, ma la presenza di Matos apre tutte le porte. Arrivano alla cella di Morel.
Un cubicolo minuscolo. Branda stretta con coperta grigia. Tavolo pieno di libri; radio portatile; lavandino; gabinetto; altri libri impilati sul pavimento.
Morel è un uomo magro, pallido, capelli scuri ingrigiti sulle tempie. Rughe profonde gli solcano la faccia. Indossa una camicia bianca e pantaloni grigi, tutti spiegazzati. Probabile che con quegli indumenti ci dorma.
«Ho due suoi libri, qui».
Li cerca, ne trova uno soltanto. «L’altro è sparito. Vuole sedersi?». Morel indica a Vilela l’unica sedia della cella.
«Vi lascio soli. Ho ancora parecchio da fare», dice Matos.
«Grazie». Morel gli stringe la mano.
«Vi troverete bene. Per uscire, basta bussare alla porta e dire di chiamare l’ispettore Rangel».
Matos esce.
«Non so da dove cominciare», dice Morel. «“Inizia dall’inizio”, disse il re al Coniglio Bianco, “e va’ avanti finché non arrivi alla fine: poi, fermati”. Ma dov’è l’inizio?».
Vilela: «Per me può anche iniziare dalla fine e fermarsi all’inizio, o a metà».
«Mi serve il suo aiuto».
«Mi dica che posso fare».
«Devo scrivere un libro. Matos non gliel’ha detto?».

«Mi ha detto che voleva parlare con uno scrittore».
«Mi serve aiuto per scriverlo».
«Meno ci si fa aiutare, meglio è».
Morel ci pensa su un momento.
«Sono a pezzi».
«È così che si scrive».
«Voglio essere sicuro che mi pubblichino».
«Non lo sarà mai».
Morel seduto sulla branda. Si sdraia lento, incrocia le braccia sugli occhi. Vilela prende un libro dal tavolo. Visione e invenzione.
«A che serve scrivere, se nessuno ti legge?».
«Serve sempre».
«Passo le notti a sognare la mia carriera letteraria», tono forzatamente ironico. «Vuole un biscotto?».

Sotto il letto, una scatola di latta.
Mangiano i biscotti.
«Dove ha preso questa montagna di libri?».
«Sono miei».
«Chi glieli porta?».
«Il commissario Matos. Gli ho dato le chiavi di casa. Gli dico che libri voglio, e lui li va a prendere nella mia libreria. A volte me ne compra uno, ma i nostri gusti non collimano granché».

«Ha già scritto qualcosa?», chiede Vilela.

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