
VENTI DI GUERRA, L’UMANITÀ AL BIVIO
di IRENE TORRE
Tra i tanti crimini commessi dal nazismo, uno dei più atroci dal punto di vista culturale è stato spegnere una delle voci più talentuose del XX secolo: Irène Némirovsky. Scrittrice ebrea ucraina naturalizzata francese, venne deportata ad Auschwitz nel 1942, dove morì. Con lei si spense anche il suo progetto letterario più ambizioso, Suite francese, un’opera concepita in cinque volumi, di cui solo i primi due furono completati.
Tempesta di giugno, il primo di questi, è un potente affresco della Francia del 1940, un racconto corale che segue la fuga disperata da una Parigi bombardata. Attraverso la scrittura raffinata e impietosa di Némirovsky, il lettore è trascinato nel caos di una marea umana in fuga, dove le convenzioni sociali crollano e l’istinto di sopravvivenza prevale su tutto.
“Quella folla miserabile non aveva più nulla d’umano, somigliava a un branco di animali in rotta. Una strana uniformità li accomunava: i vestiti stazzonati, le facce sconvolte, le voci arrochite, tutto li rendeva simili.”
L’autrice racconta una galleria di personaggi provenienti da mondi diversi: una ricca famiglia di notai borghesi, una coppia di banchieri piccolo-borghesi che attende il ritorno del figlio dalla guerra, un vecchio scapolo appassionato di porcellane, un presuntuoso scrittore narcisista… Némirovsky riesce ad assumere il punto di vista di tutta questa varia umanità ( e non solo, in un capitolo meraviglioso il punto di vista è addirittura quello del gatto di famiglia che ritorna alla vita di campagna), anche se non si sofferma in lunghe analisi psicologiche, ma lascia emergere la loro essenza attraverso le azioni, le scelte e le reazioni di fronte alla tragedia.
Non è difficile immedesimarsi e vedere un terribile parallelo con il nostro presente, dove migliaia di profughi sono in fuga dalle guerre e i bombardamenti sono notizia quotidiana. La domanda che mi ha accompagnato come un tarlo durante la lettura è: cosa cercherei di salvare in una situazione di emergenza come questa, e a quale costo? Chiuderei la porta in faccia ai disperati che mi chiedono un bicchiere d’acqua o sarei capace di condividere? La risposta non è mai scontata.
“La carità cristiana, la mitezza di secoli di civiltà le cadevano di dosso come vani orpelli, rivelando un’anima arida e nuda. Lei e i suoi figli erano soli in un mondo ostile. Doveva nutrire e proteggere i suoi piccoli. Il resto non contava più.”
Quella che viene descritta da Némirovsky è una tempesta, soprattutto interiore, che travolge ogni certezza e mette a nudo l’animo umano nelle sue contraddizioni più profonde.
Nell’analisi senza sconti dell’animo umano questo romanzo mi ha ricordato il film “La zona d’interesse” (2023), diretto da Jonathan Glazer e ispirato all’omonimo romanzo di Martin Amis. Nella pellicola la famiglia Hoss rimane nella casa accanto al campo di sterminio di Auschwitz (proprio lì Irène Némirovsky ha perso la vita) e finge di non vedere gli orrori che vi si perpetuano per mantenere la sua placida esistenza, continuando a coltivare il suo splendido giardino.
Sia nel romanzo di Némirovsky che nel film di Glazer, viene reso come l’uomo sia capace di atti di grande altruismo ma anche di indifferenza e crudeltà per mantenere il suo privilegio, la sua tranquillità. Queste opere ci invitano a riflettere su noi stessi, esortandoci a mantenere viva l’attenzione nel restare umani anche in tempi difficili.
Come afferma Némirovsky nei capitoli finali di Tempesta di Giugno:
“L’uomo non ama il prossimo e non lo amerà mai. Ma fatto strano, il mondo sembra averne bisogno di questo amore.”
TRAMA
«Irène Némirovsky» ha scritto Pietro Citati «possedeva i doni del grande romanziere, come se Tolstoj, Dostoevskij, Balzac, Flaubert, Turgenev le fossero accanto e le guidassero la mano». Per tutti coloro che dal 2005 (anno della pubblicazione di Suite francese in Italia) hanno scoperto, e amato, le sue opere, questo libro sarà una sorpresa e un dono: perché potranno finalmente leggere la «seconda versione» – dattiloscritta dal marito, corretta a mano da lei e contenente quattro capitoli nuovi e molti altri profondamente rimaneggiati – del primo dei cinque movimenti di quella grande sinfonia, rimasta incompiuta, a cui stava lavorando nel luglio del 1942, quando fu arrestata, per poi essere deportata ad Auschwitz. Una versione inedita, e differente da quella, manoscritta, che le due figlie bambine si trascinarono dietro nella loro fuga attraverso la Francia occupata, e che molti anni dopo una delle due, Denise, avrebbe devotamente decifrato. Qui, nel narrare l’esodo caotico del giugno 1940, e le vicende dei tanti personaggi di cui traccia il destino nel suo ambizioso affresco – piccoli e grandi borghesi, cortigiane di alto bordo, madri egoiste o eroiche, intellettuali vanesi, uomini politici, contadini, soldati –, Némirovsky elimina tutte le fioriture, asciuga e compatta; non solo: ricorrendo alla tecnica del montaggio cinematografico, limitandosi a «dipingere, descrivere», sopprimendo ogni riflessione e ogni giudizio, conferisce a questo allegro con brio un ritmo più sostenuto – e riesce a trattare la «lava incandescente» che ne costituisce la materia con una pungente, amara comicità.
Traduzione: Laura Frausin Guarino, Teresa Lussone
Tempesta in giugno
VENTI DI GUERRA, L’UMANITÀ AL BIVIO di IRENE TORRE Tra i tanti crimini commessi dal nazismo, uno dei più atroci dal punto di vista culturale è stato spegnere una delle voci più talentuose del ...