
SULLE MACERIE DELL’UMANITA’
di IRENE TORRE
Stalingrado è il primo volume di una dilogia completata da Vita e destino. Vasilij Grossman, ebreo ucraino ai tempi dell’Unione Sovietica, affronta una travagliata vicenda editoriale: per riuscire a pubblicare Stalingrado, accettò censure e compromessi.
Il titolo originale del romanzo Per una giusta causa, riprende un’espressione usata da Molotov nel 1941 per giustificare l’ingresso dell’URSS nella Seconda Guerra Mondiale con l’obiettivo di sconfiggere il nazifascismo. Tuttavia, l’edizione pubblicata da Adelphi ripristina il romanzo secondo le intenzioni dell’autore, eliminando le parti imposte dalla censura.
Il romanzo segue un arco narrativo che parte dal Don, attraversa le steppe e arriva a Stalingrado, la città simbolo della resistenza sovietica, stretta nella morsa del terribile ordine di Stalin: “Non un passo indietro”. Un massacro che Grossman visse da vicino, in quanto corrispondente di guerra tra il ‘41 e il ‘45, e che ha segnato gran parte della sua vita.
Eppure, Stalingrado non è solo un resoconto storico o un affresco epico. Al centro della narrazione troviamo la famiglia Šapošnikov, guidata dalla matriarca Aleksandra Vladimirovna, simbolo di resistenza e dignità. Attorno alla famiglia si muove una moltitudine di personaggi (nell’edizione Adelphi è presente alla fine del romanzo un utile elenco che distingue tra personaggi storici e fittizi): colonnelli, medici, autisti, contadini, generali, minatori… Ognuno conserva la propria individualità, pur essendo trascinato nel vortice della guerra. Non mancano i “grandi” protagonisti della storia, ad esempio il romanzo si apre con un colloquio tra Hitler e Mussolini, ma questi non sono mai rappresentati in maniera eroica quanto in conversazioni o intenti a pensare a operazioni strategiche, del tutto lontani dalla popolazione.
La narrazione di Grossman, per la sua coralità e per la capacità di umanizzare la guerra, mi ha fatto pensare alla prospettiva adottata da Terrence Malick in La sottile linea rossa, film che racconta di un gruppo di soldati statunitensi che cercano di conquistare un avamposto giapponese durante la Seconda Guerra Mondiale. Come Malick, Grossman alterna la bellezza indifferente della natura alla brutalità del conflitto, il silenzio di un cielo stellato al fragore dei bombardamenti. Entrambi pongono al centro della narrazione la fragilità dell’essere umano di fronte alla storia, ricordandoci che non sono le nazioni a combattere, ma le persone. Nonostante l’orrore, Grossman ha, infatti, una profonda empatia per i suoi personaggi: li mostra mentre soffrono, lottano, si innamorano e trovano momenti di bellezza persino tra le macerie, come in un episodio memorabile in cui un soldato, appoggiandosi a un palo del telegrafo, sente il vento farlo vibrare come le corde di uno strumento musicale.
Perché approcciare oggi Stalingrado, un libro mastodontico su una guerra finita più di 80 anni fa? Questo libro ha un significato profondo e universale, soprattutto perché offre una riflessione sulla capacità di resistenza di fronte alla brutalità e alla precarietà della condizione umana, temi quanto mai rilevanti in questo nostro tempo turbolento. La monumentalità di Stalingrado non sta solo nella sua mole, ma nella vastità della sofferenza che riesce a trasmettere. Eppure, tra le pagine, affiora anche un sottile umorismo, segno di una resistenza interiore che nemmeno la guerra può soffocare. Leggere Stalingrado è impegnativo, ma è anche un’esperienza che lascia in qualche modo diversi, scossi e consapevoli della propria piccolezza rispetto alla grande storia ma anche rinfrancati dalla potenza dell’uomo, capace di resistere e trovare significato pure nei momenti di peggiori.
TRAMA
Quando Pëtr Vavilov, un giorno del 1942, vede la giovane postina attraversare la strada con un foglio in mano, puntando dritto verso casa sua, sente una stretta al cuore. Sa che l’esercito sta richiamando i riservisti. Il 29 aprile, a Salisburgo, nel loro ennesimo incontro Hitler e Mussolini lo hanno stabilito: il colpo da infliggere alla Russia dev’essere «immane, tremendo e definitivo». Vavilov guarda già con rimpianto alla sua isba e alla sua vita, pur durissima, e con angoscia al distacco dalla moglie e dai figli: «…sentì, non con la mente né col pensiero, ma con gli occhi, la pelle e le ossa, tutta la forza malvagia di un gorgo crudele cui nulla importava di lui, di ciò che amava e voleva. Provò l’orrore che deve provare un pezzo di legno quando di colpo capisce che non sta scivolando lungo rive più o meno alte e frondose per sua volontà, ma perché spinto dalla forza impetuosa e inarginabile dell’acqua». È il fiume della Storia, che sta per esondare e che travolgerà tutto e tutti: lui, Vavilov, la sua famiglia, e la famiglia degli Šapošnikov – raccolta in un appartamento a Stalingrado per quella che potrebbe essere la loro «ultima riunione» –, e gli altri indimenticabili personaggi di questo romanzo sconfinato, dove si respira l’aria delle grandi epopee. Un fiume che investirà anche i lettori, attraverso pagine che si imprimeranno in loro per sempre. E se Grossman è stato definito «il Tolstoj dell’Unione Sovietica», ora possiamo finalmente aggiungere che Stalingrado, insieme a Vita e destino, è il suo Guerra e pace.
Stalingrado
SULLE MACERIE DELL'UMANITA' di IRENE TORRE Stalingrado è il primo volume di una dilogia completata da Vita e destino. Vasilij Grossman, ebreo ucraino ai tempi dell’Unione Sovietica, affronta ...