RECENSIONE
TRAMA
Il commissario Teresa Battaglia ha perso davvero la sfida più grande di tutte contro la sua memoria? Sembra di sì. È questo che pensano i colleghi e chi le vuole bene. È questo che pensa anche Massimo Marini, che dopo aver ricevuto una chiamata anonima si è precipitato in mezzo alle montagne. Lì, dove un feroce crimine potrebbe essere stato compiuto, trova il cadavere di un ragazzo fra le braccia di Teresa. Massimo sa che quella è una scena del crimine e che il commissario Battaglia non dovrebbe trovarsi lì. Sa che ha compromesso il ritrovamento e alterato gli indizi. Ma forse non è davvero così che stanno le cose.
CONSIDERAZIONI
Ah, quanto ho aspettato il ritorno di Teresa Battaglia e quanto tempo, pensando a lei, al personaggio femminile più intenso, volitivo, caparbio, forte e fragile della nostra narrativa di genere mi sono ritrovata a chiedermi: chissà che fa? Chissa come si sente? Chissà come la ritroverò o in che frangente la rincontrerò. Così, come si fa quando si pensa ad amiche di vecchia data o a persone incontrate e mai dimenticate perché in maniera precisa e strabiliante si sono conquistate quel posticcino all’interno del cuore. Ora Teresa l’ho rincontrata in Madre d’ossa, ultima fatica letteraria di Ilaria Tuti e ultimo capitolo della serie dedicata al commissario che commissario non è più. E che dire di un lavoro letterario dove la natura, esattamente come succede nelle pellicole di Weir, sembra uscire fuori dalle pagine del libro e trasformarsi in qualcosa di “umano”, di presente, di tangibile e avviluppante? Ilaria Tuti nel corso della sua attività autoriale ci ha abituati piano piano a concepire l’ambientazione dei suoi scritti (non solo i romanzi della serie di Teresa Battaglia) come una natura dalle due facce: crudele e maligna e benevola e generatrice. Certo, la natura a fare tutto da sola non basta e allora ecco il Friuli terra ancora selvaggia e riservata, schiva e sfuggevole dove anche gli esseri umani ci mettono del proprio per perpetrare azioni cruente, ataviche e indecifrabili. Al di là dell’ambientazione fascinosa e ombrosa, in Madre d’ossa il lettore comunque non può esimersi dal riflettere sul filo conduttore dell’intera trama: la malattia fisica e mentale della protagonista. E allora ecco pagine di struggente emotività dove ricordi e pensieri si sovrappongono per poi riprendere infinite linee e giungere a riflessioni in grado di determinare una indagine di polizia oppure a nulla. E i lettori quasi la sentono nelle orecchie la forza di volontà di un essere umano schiacciato dall’infermità che sbatte contro le pareti di una memoria labile e fragile come un tulle fabbricato dalla nebbia. Teresa, nel suo alternarsi di bruma e chiarore può sempre contare, però, su quelli che sono i suoi affetti più vicini, più sinceri, più incrollabili e presenti. E l’emotività che la Tuti riversa nelle pagine più intimiste e sentimentali del suo poliziesco è esattamente il quid che la rende una delle nostre autrici più amate all’estero. Un romanzo atavico Madre d’ossa che mischia ecologia con archeologia, ragione con sentimento e uomini e donne con il sovrannaturale e l’imponderabile. La sensazione netta che si ha quando si chiude il libro è molto simile a quella di un addio…vedremo e sapremo tutto a suo tempo. Per il momento quello che possiamo fare è constatare ancora una volta il talento di una autrice che ha fatto dell’interiorità la sua cifra unica e meravigliosamente rara.
INTERVISTA
Ilaria, senza nasconderci dietro a un dito, in questa tua ultima storia il vero colpo al cuore per i lettori non è l’impianto del romanzo di genere ma la malattia di Teresa che diventa protagonista ancora più della stessa commissario e di tutti gli altri personaggi della trama. Quanto è stato difficile rendere in maniera così accorata, profonda e sublime un male come l’Alzheimer?
È stata la parte più difficile, non solo di questo romanzo, ma in generale che io abbia mai affrontato nella scrittura. A ogni parola sentivo il senso di responsabilità per quanto stavo mostrando: una malattia reale, che solo in Italia colpisce circa un milione di persone e altrettante famiglie. Con le dovute, minime forzature per ragioni di trama, per ogni scena mi prefiggevo di rispettare la credibilità del personaggio, che non doveva diventare una macchietta, né mostrare solo il volto socialmente accettabile della malattia, quello che muove a compassione. L’Alzheimer purtroppo modifica la personalità del malato, può renderlo violento, può fargli commettere azioni considerate strambe o addirittura vergognose, porta con sé uno stigma che dobbiamo superare anche grazie alla sua narrazione, purché sia sincera e limpida. Ho sempre usato il metro del pudore per orientarmi, che è il senso del rispetto per chi soffre.
In madre d’ossa anche lo stesso Albert Lona sembra più umano, più empatico, più “amico”. Probabilmente è il personaggio della serie che ha subito l’evoluzione maggiore. Tutto calcolato da te fin dal principio o lui è il classico personaggio che si fa beffe dell’autore e vive di vita propria spiazzando anche chi scrive?
Amo questo personaggio, proprio perché è doppio. Fin dall’inizio ho sentito che poteva offrirmi tante possibilità grazie alle sue sfaccettature e ne ho immaginato il divenire. Nessuno di noi è solo luce o ombra, siamo un prodotto di entrambe in continua evoluzione. Le “dosi” cambiano nel tempo, a seconda dell’età, delle esperienze, del nostro percorso personale, ma anche dell’impatto che le esistenze altrui hanno sulla nostra. Davanti alla malattia di Teresa, anche Albert avverte una risonanza emotiva e inizia a “sentire” in modo diverso.
Il Friuli di cui si legge in questo tuo ultimo romanzo non sembra neppure reale, neppure italiano, quasi una terra di mezzo alla Tolkien dove il Male, il Bene, Il Fantastico e il Sogno convivono alternandosi a vicenda. Ci vuoi parlare di questa ambientazione e del tuo desiderio percepibile di dargli vita?
Eppure tutti i luoghi citati esistono, ed esistono le loro storie antiche, a volte addirittura millenarie, spesso dai contorni quasi arcani. Credo che questa magia dipenda da come guardiamo le vestigia del passato e la natura che ci circonda. Io ho ri-educato il mio sguardo, l’ho fatto tornare bambino e ho recuperato il senso del meraviglioso. Quando osservo, cerco lo stupore. Quando scrivo, scrivo con l’intento di evocare suggestioni, di scegliere le parole per creare un’alchimia. Ho la fortuna di vivere in una terra, il Friuli, che è stato l’ultimo baluardo dello sciamanismo nell’Europa occidentale (ha resistito fino al XVII secolo) e da sempre, come terra di confine tra area mediterranea, Nord ed Est, è un crocevia di culture, religioni, lingue, genti… Qualcosa di tutto questo continua a vivere e io lo sento dentro.