Morte nel chiostro

Morte nel chiostro

Published: 30/01/2024

Format: Rilegato

ISBN: 9788834616390

RECENSIONE

di ANTONIA DEL SAMBRO

Ancora una volta per Marcello Simoni il focus del suo racconto restano le donne. In particolare la condizione della donna nel tempo e nella storia. 

Pertanto, pur se la sua ultima fatica letteraria mette i brividi e tiene altissima la tensione pagina dopo pagina con una successione di fatti, gesta e personaggi determinanti, precisi, meravigliosamente costruiti, l’aspetto sociale resta il filo conduttore più importante e riconoscibile. Simoni non è nuovo a questo genere di sensibilità e anzi l’aspetto più singolare dei suoi scritti è dato proprio da questa capacità, quasi unica nel suo genere, di descrivere perfettamente le donne, le loro fragilità, la loro determinazione, la loro scaltrezza, in un perenne omaggio che attraversa i secoli e le ere e lo rende un autore più unico che raro. 

In Morte nel chiostro, se possibile, questa sua caratteristica viene ancora più accentuata da una trama che ruota prevalentemente su due magnifiche e originalissime protagoniste: Engilberta di Villers, originaria dei boschi nordici del ducato di Brabante, madre badessa, abile, intelligente, istruitissima e perfettamente in grado di tenere testa a qualsiasi uomo, chierico o soldato che voglia intralciare il suo operato dentro e fuori le mura del suo monastero e Beatrice de’ Marcheselli, giovane vedova entrata come novizia a San Lazzaro per trovar requie dal dolore per la scomparsa del marito.

Loro due da sole risolveranno gli intrighi che ruotano intorno alla sottrazione di una preziosa reliquia appartenuta a papa Urbano III, appena deceduto, e insieme al tragico suicidio di una loro consorella trovata impiccata nel chiostro del monastero, nonché alla morte per assassinio del di lei fratello, trovato esangue proprio nella selva che circonda San Lazzaro. Il tutto in un tempo, l’alto Medioevo del 1187, e in una era in cui alle donne erano concesse pochissime libertà decisionali e un potere quasi sempre instabile e assoggettato a quello degli uomini. Anche quando le stesse donne potevano avvalersi del titolo di madre badessa e della conduzione di un monastero importante.

Una trama ricca, strutturata, robusta, affascinante e colma di colpi di scena che si susseguono senza lasciare riprendere fiato a chi legge. Marcello Simoni dalla scrittura e dallo stile colto e seducente è uno scrittore raffinatissimo che come il più abile degli alchimisti mescola con estrema sapienza suspense, ambientazione, storia e sociale. Ed è per questo che leggere Simoni non solo diletta ma insegna e Morte nel chiostro è tra i suoi romanzi più perfetti.

INTERVISTA

Marcello il tuo ultimo romanzo è talmente pieno di colpi di scena che davvero non si riesce a smettere di girare pagina. Tra i tanti temi che affronti c’è quello del furto o della sottrazione di reliquie che sembra essere stato uno dei motivi maggiori, non solo in età medievale, di scontri, omicidi, misteri, trame ordite a danno di avversari e rivali e persino suicidi. Perché possedere un corpus era così importante per gli uomini di quel tempo, che fossero essi religiosi o meno? 

Il furto di reliquie (furta sacra) consiste in un fenomeno talmente diffuso da aver dato origine, in età medievale, a una particolarissima tradizione di storie orali e scritte. Si tratta di un mix di narrazioni agiografiche e avventurose nelle quali si parla di viaggiatori che, in seguito a varie peripezie, eventi miracolosi o visioni, entrano in possesso di sacre reliquie custodite in luoghi remoti o inaccessibili. Si tratta, per farla breve, di una variante delle storie dei cacciatori di tesori. E, in effetti, di autentici tesori stiamo parlando! Possedere una reliquia significava disporre di un cimelio in grado di trasformare una semplice chiesa in un polo di attrazione per i pellegrinaggi e i mercati, i principali vettori della devozione e della ricchezza. Specie se simili reliquie appartenessero a un santo molto venerato e avessero nomea di produrre miracoli.

Protagonista quasi indiscussa della tua opera è la madre badessa del monastero di San Lazzaro alle porte di Ferrara, ma c’è un’altra figura femminile che aleggia in quasi tutte le pagine del libro: Ildegarda di Bingen, praticamente la donna più famosa e importante dell’alto Medioevo. Una figura talmente affascinante da incuriosire e appassionare anche chi di storia medievale non sa quasi nulla.  Perché hai avuto il desiderio e il genio di inserirla anche se solo come evocazione e ricordo? E scriverai mai un romanzo tutto dedicato a lei?

Ildegarda di Bingen non rappresenta solo una delle figure più geniali ed emblematiche dell’intero Medioevo, ma è anche la prova di quanto le donne contribuirono a definire questo arco di mille anni spesso, erroneamente, descritto come un’epoca plasmata dai soli uomini. Sullo sfondo dei fenomeni del feudalesimo, delle crociate e della cultura cavalleresca, si profilano infatti regine, monache, guaritrici, viaggiatrici, ma anche donne “comuni” che, opponendosi alla misoginia e alle imposizioni dei matrimoni forzati, eguagliarono in saggezza e coraggio i grandi uomini dell’evo di mezzo. Ildegarda, nello specifico, non ebbe nulla da invidiare a intellettuali del calibro di Roberto Grossatesta e di Tommaso d’Aquino. Fondatrice di monasteri, profetessa, studiosa delle erbe e della natura in generale, autrice di innumerevoli opere di scienza e di spiritualità, ha lasciato un segno così indelebile nella storia da aver suscitato in me non solo una sconfinata ammirazione, ma anche il desiderio di inserirla, con delicatezza e rispetto, nel mio romanzo. E forse, chissà, anche quello di renderla, in futuro, protagonista di una delle mie trame.

In questa tua ultima fatica letteraria la città di Ferrara è praticamente uno sfondo, qualcosa in secondo piano su cui disegnare sopra la vera ambientazione del libro che rimane il monastero di San Lazzaro in ogni suo ambiente interno ed esterno. Una location riportata talmente nel dettaglio che finisce per diventare un vero viaggio virtuale anche per chi legge. A cosa ti sei ispirato per queste descrizioni e quale posto di tutti quelli che hai raccontato ti affascina di più?

Quando ho iniziato a scrivere questo romanzo, cercavo un’ambientazione ideale per accogliere un giallo medievale a scatola chiusa. Il monastero femminile di San Lazzaro mi è parsa una scelta perfetta. Si tratta di una sorta di microcosmo, una rappresentazione in miniatura di un castello suddiviso in specifici settori e ambienti destinati agli scopi più diversi, dalla schola cantorum alla dispensa, dalle cucine al dormitorio, dalla sala del cucito all’orto. Per “costruirlo” in modo verosimile mi sono basato su diversi modelli di molti monasteri e abbazie davvero esistiti, dai ferraresi cenobi di Pomposa a Sant’Antonio in Polesine, dal celebre San Gallo a Sainte-Marie di Fontevraud. Si tratta di monasteria che ospitarono ordini monastici maschili e femminili, ma che furono anche fulcro di cultura e di splendore. Inoltre ho voluto aggiungere un riferimento ai putridaria, luoghi degni di un romanzo gotico ottocentesco, davvero esistiti in vari contesti europei. Del resto, sono dell’idea che un buon giallo abbia bisogno di un pizzico di macabro!

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