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PER ESSERE PUBBLICATI OCCORRE ESSERE RACCOMANDATI?

di LUCA OCCHI

È una frase in cui mi sono imbattuto spesso nei gruppi di sostegno tra scrittori esordienti. E mi ha sempre rattristato, poiché sa di resa. Quando, arrendersi, è proprio l’ultima cosa che uno scrittore dovrebbe fare. Non voglio insegnare niente a nessuno, non ne avrei neanche titolo, ma spero che raccontare la mia esperienza possa essere d’aiuto ad altri nel continuare a perseguire, con tenacia, i propri sogni. In qualsiasi campo, non solo quello letterario.

Per una serie di fortunate coincidenze, ma quest’ultime esisteranno davvero? Una quindicina di anni fa m’iscrissi a un corso di scrittura. E l’idea di pubblicare non mi passava neppure per la testa, poiché mi ritenevo solo un lettore curioso. Il corso aveva durata biennale, ma al termine, con alcuni partecipanti, decidemmo che era bello continuare a ritrovarsi ogni giovedì per parlare di scrittura e nacque così la Compagnia Letteraria Colonne d’Ercole. Come obiettivo ci prefiggemmo di scrivere un’antologia, con una particolarità: ciascun racconto sarebbe stato editato da tutti i membri della Compagnia. Vi posso assicurare che dieci persone che lavorano su un tuo testo ti fanno capire tante cose del tuo modo di scrivere.

Pregi e difetti. Io, ad esempio, avevo come tutti alcuni tic letterari. Sono quei difetti talmente automatici che neanche ce ne accorgiamo. Uno era la doppia aggettivazione. Be’, quando dieci persone ti fanno notare come la cosa appesantisca le frasi, impari a farne un uso corretto evitando di abusarne. L’esperienza con la Compagnia Letteraria, durata cinque anni, era stata molto formativa. Mi sentivo pronto per tentare da solo una nuova avventura: quella dei racconti per concorsi letterari. Se il romanzo è una maratona, i racconti rappresentano per uno scrittore il miglior allenamento possibile. Certo, non andò subito tutto bene. Ai primi concorsi i miei racconti non furono neanche presi in considerazione. Io m’imposi, però, di leggere le antologie con vincitori e finalisti, per capire cosa avessero in più i loro racconti rispetto al mio. E di accortezze tecniche e stilistiche in più, spesso ne avevano molte. Così, iniziai a lavorare sui racconti scartati per migliorarli, e presentarli ad altri concorsi, rendendomi conto di come, a ogni tornata di editing, il racconto grezzo andasse acquistando man mano una sua luce, una sua brillantezza. Giunsero così i primi racconti finalisti, poi la vittoria al Premio Letterario M.A.R.E. Letteralmente volavo, anche se l’idea di pubblicare un romanzo era ancora lontana, nonostante stessi lavorando a Il Cainita più per divertimento che altro. I racconti restavano il mio campo da gioco. Per dire quanto sia importante il lavoro di editing, credo che Inganni del Cuore rappresenti un esempio calzante: non considerato a un paio di concorsi, editing, finalista al MystFest di Cattolica, editing, vincitore del Garfagnana in Giallo. Intanto, man mano che vincevo qualche premio, il mio nome iniziava a girare. Ai festival conoscevo altri scrittori, alcuni diventavano amici con cui ci scambiavamo consigli, informazioni. Il mondo della scrittura, come tutti i lavori, è fatto di relazioni. Cosa molto diversa dalle raccomandazioni.

Un anno ero tra i quattro finalisti del Premio Esperienze in Giallo. Non vinsi, ma andò ancor meglio. Nella cena post premiazione finii a tavola con un altro finalista. Iniziammo a parlare della comune passione trovandoci subito in sintonia. A sentirci di tanto in tanto, a darci consigli reciproci, segnalazioni. Un giorno mi chiamò e mi disse: “Ascolta, mi piace il modo in cui scrivi e racconti le storie. Io sto per diventare il curatore di una collana giallo/noir. Avresti qualcosa da sottopormi?” Il Cainita era nel frattempo finito, e continuavo a editarlo in un loop senza fine, valutando ogni parola per capire se vi fosse qualche sinonimo in grado di aggiungere qualcosa, anche solo una sfumatura in più, alla frase. Il romanzo piacque al curatore e all’editor, e fu così che arrivai a pubblicarlo. Il primo di otto.

Quindi, direte voi, se davvero si crede nel proprio lavoro, non servono raccomandazioni. Certo le relazioni sono importanti, nella misura in cui vi possono arricchire dal punto di vista umano, di comprensione del mondo letterario, di capacità tecniche e accortezze del mestiere. Di consapevolezza. Ma nessun editore serio pubblicherà per raccomandazione. Occorre quindi non abbattersi e tanto lavoro, poiché quello dello scrittore è un mestiere che richiede un’insaziabile voglia di imparare, un’infinita passione, e tanta tanta applicazione.

Ps: Serve anche un’altra cosa, come fa notare saggiamente il maestro Stephen King:

“…scrivere è un’operazione solitaria. Avere qualcuno che crede in te fa una grande differenza. Non c’è bisogno che si lancino in orazioni. Di solito credere è già sufficiente…

Io, da questo punto di vista, mi ritengo fortunato.

 

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