QUI PRO QUO AL GIAMBELLINO
di BARBARA MONTEVERDI
Licenziato in quanto anello debole di una ditta in crisi, col vizio delle scommesse e l’abbonamento alle sconfitte, Cosimo Lovino è nella posizione migliore per cacciarsi nei guai. Come puntualmente avviene. L’inizio di questo giallo ambientato in una Milano industrializzata ma in smantellamento, è tutto un ritratto di piccoli, patetici perdenti: la guardia giurata accidiosa col sogno impossibile di entrare nelle forze dell’ordine (ma così poco reattiva da sembrare un budino avanzato), il ragionier Ambrogi, responsabile dei rapporti non limpidi tra il suo istituto bancario e Achille Perego, padrone della fabbrica sull’orlo del fallimento, il giovane Dibiasio vestito all’ultimo grido e pazzamente innamorato di se stesso.
Tornaghi delinea caratteri e ambienti (squallidi entrambi) con ironica e crudele precisione, come se gli andassero stretti – non possiamo dargli torto, chi vorrebbe compagni di vita e paesaggi così allappanti? – ma non potesse fare a meno di vederne il lato comico e non riuscisse a frenare i sogghigni.
“Per favore, dottor Dibiasio, torni a sedere con noi.” Per tornare Dibiasio non tornava, non andava nemmeno avanti, però. C’era un uomo nella penombra dello stanzone. Un uomo che avanzava circospetto, puntando una pistola qua e là, come nei film americani. “Per favore” insistette Ambrogi prendendolo per un braccio. Dibiasio, esterrefatto, puntò il braccio libero in direzione dell’uomo. Là, disse. Manuel fece fuoco. L’aveva visto, quel bastardo, puntargli l’arma contro. Il lampo azzurro lo accecò e lui sparò ancora due, tre colpi. Col cazzo che l’avrebbero disarmato un’altra volta. D’istinto Ambrogi chiuse la porta. Dibiasio, rimasto fuori, si buttò a terra. Cercò riparo sotto una scrivania. Occupata. “Che cazzo!” imprecò, ma subito si zittì perché vide che anche l’uomo rannicchiato lì sotto aveva una pistola.
Siamo alla farsa, ma è una farsa amara perché questo giallo sembra la commedia dei disincontri, come se ogni personaggio vivesse in una dimensione parallela con qualche sporadico varco verso le altre.
Cosimo si barrica senza volerlo davvero con tre ostaggi, vengono chiamati i NOCS perché si sospetta un atto terroristico, le TV accorse parlano già di nordafricani arrestati (ma si tratta solo del figlio del pizzaiolo che doveva fare una consegna) e il povero commissario Cattaneo – uomo più portato alla riflessione filosofica che al gioco muscolare – cerca di riportare ordine in quel caos senza pestare troppi piedi.
Ma ecco il tocco abile di Tornaghi: il tono cambia bruscamente quando si inserisce la variabile “razzismo” e il commissario rischia del suo per evitare il linciaggio di persone miti, lavoratori che hanno il solo difettuccio di essere arabe e, di conseguenza, additate dal primo capopopolo de nojartri come gramigna da estirpare.
Trovo che la marcia in più nei libri di questo autore sia l’aspetto sociale, che viene sempre a galla in modo prorompente senza andare a deperimento della suspense e senza mai rinunciare allo spirito frizzante, caustico, a volte umoristico e rende la lettura meno ponderosa, ma ricca di sostanza. E comunque, ciò che ha da dire Tornaghi lo dichiara senza mezzi termini.
Il banchiere si versò due dita di whiskey e avvicinò il tumbler al naso(…) Bevve un piccolo sorso. “Non siete in crisi.” disse al salotto deserto. Bevve un altro piccolo sorso. Rise. Gli italiani proprio non capivano “Se foste in crisi a un certo punto ne uscireste. Le crisi hanno un inizio e una fine. Ma voi non siete in crisi, teste di cazzo, voi siete strutturalmente nella merda.”(…) “Massì” pensò “in fondo è meglio così.” Era meglio che gli italiani continuassero a tenere gli occhi chiusi; se li avessero aperti avrebbero visto un sistema industriale ridicolmente arretrato, un apparato statale che divorava miliardi in cambio di servizi da terzo mondo, una classe politica incapace e corrotta.
E questo bel personaggio fa parte del gioco, cercando ovviamente di tirarsene fuori recitando la parte del censore di turno. Eppure, quel che dice ha una sua verità amarissima.
Come avrete capito, l’autore ci porta sulle montagne russe e alla fine ci scopriamo divertiti e tramortiti. A voi, dopo la lettura, scegliere in che proporzione.
TRAMA
Un ladruncolo, un imprenditore, due bancari. E poi una guardia giurata, un vice questore, due poliziotti, un rider. Sono solo alcuni dei personaggi che s’intersecano nella surreale vicenda di un sequestro di persona che si tinge di politica, affari sporchi, disoccupazione e disperazione. Cosimo perde il lavoro, e deve dei soldi a certa brutta gente. Per cavarsi dai guai, organizza un furto di un carico di rame, ma nulla va come previsto, e finisce per prendere in ostaggio il suo ex datore di lavoro e due bancari. Asserragliato nella fabbrica, rilascia interviste da remoto che danno luogo a una lunga lista di equivoci. Nella confusione generale, e gravato da una tensione di ora in ora crescente, il commissario Cattaneo prova a scoprire la verità, in un caso che racchiude la corruzione, la necessità di apparire e l’opportunismo che contraddistinguono il nostro Paese.
Ascoltate l’incipit letto da Barbara:
Lunedì prossimo
QUI PRO QUO AL GIAMBELLINO di BARBARA MONTEVERDI Licenziato in quanto anello debole di una ditta in crisi, col vizio delle scommesse e l’abbonamento alle sconfitte, Cosimo Lovino è nella ...