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A SUD, A NORD, COMUNQUE ALTROVE, O FORSE A CASA

di CONCETTA MELCHIONDA

Ho iniziato con Ben Jelloun da una porta laterale, in un sussurro che sa di fruscio, ma qualcosa già c’era. Semplicemente aleggiava, aspettava. Come ogni cosa. E poi i libri lo sanno, nella loro magnetica sapienza, quando offrirsi . La loro è mistica amorosa. È sacerdozio sentimentale del dono, dove tutto si espande come entropia meravigliosa , necessaria, ineluttabile .E noi ne diventiamo epifania. Di caotico, ineffabile magma. E così tutto mi si offre. Ed io mi faccio vuoto. Per generare sentimenti, sensazioni.

Ogni cosa nasce dal corpo. E fuori dal corpo ogni cosa colpisce. Questo narrano le donne d’Africa. Quelle berbere, delle città del Marocco. Casablanca, Tangeri. Quelle che mi stanno chiamando.

“Come ci vedono?”, “Cosa siamo noi, il sud Europa, per il nord dell’Africa?”. Ne conosco tante di loro, per lavoro. Timide, sorridenti, riservate, che cercano risposte a problemi, madri, studentesse, bambine, ragazze. Da sole, con i mariti, con altre donne. Tante volte imbarazzate, quasi a scusarsi di essere qui. La loro presenza, sentita come violazione di intimità. Del locus domestico. Ed io voglio capire. Accogliere. “Che nessuno si senta straniero…” Con la loro pelle, il loro corpo, le loro essenze fatte di incenso, cannella, il capo velato, le paure che non osano confessare. La contraccezione, la libertà delle relazioni, il desiderio di sdoganare un desiderio di bellezza, stigmatizzato da una certa cultura. La paura è l’analisi fortissimo alla libertà .Tutto ciò che ritrovo, puntualmente, in autrici cui mi sto avvicinando . Come la giovanissima Selma al Moummi, in “Tangeri, addio”, Mondadori 2025.
Il questo brevissimo romanzo, quasi un racconto lungo, Alia la protagonista, vuole fuggire da quel suo corpo femminile, l’ oggetto limitante, causa perenne di molestie, palpeggiamenti, ossessioni maschili.

Alia deve correre, fuggire per strada tutti i sacrosanti giorni. Alia che deve amare di nascosto Elias a Casablanca. Alia che si getta nel letto di Quentin, biondo francese ,senza amore. Alia che deve mostrare a sé stessa che può essere accolta dall’altrove dell’Occidente bianco, coloniale. E che quindi, per questo, vale. Alia che fa autoscatti, di notte, al suo corpo sensuale, per amarlo, accettarlo, non odiarlo più. Per colpa del suo mondo. Alia che deve fuggire in Francia. Le foto sono finite in rete, e rischia la prigione in Marocco. Via dalle colonne d’Ercole, dell’Atlantico, dal Mediterraneo. Restano Lione ,i suoi fiumi stretti, il freddo delle albe incolori. Il silenzio, il sentirsi liberi e senza senso. Sempre vittima e carnefici. Stavolta bianchi di luce crudele e ipocrita. Il perbenismo coloniale, come uno schiaffo in faccia ,senz’anima. Quel mondo che ti prende, come faceva Quentin a letto, si soddisfa senza voler capire niente. Sesso, senza amore. E poi ? Poi niente. Resta l’anima nuda. Che non sa più dove andare. Rigettata, espulsa dolorosamente, come un feto malato dal ventre della sua terra. Fiore reciso del deserto, gelsomino che vuole i profumi della notte per fiorire. Ma la notte calda e avvolgente, rassicurante, intrisa di rugiada lieve, fascinosa di khol e kajal, di racconti d’acqua di hammam, come promessa di Mille e una notte, dov’è?
Forse in un Sud Europa che sappia vedere, sentire ,racconti di altri lembi di terra, nostri e dimenticati (Agostino era uno di loro..)

.Che non si senta più centro del mondo, che perda il suo complesso di superiorità insensato e positivista. Che si immerga tra Atlantico, Mediterraneo. Il Mare Magnum, la Magna Mater, Iside, Madonna Nera. Nel corpo. Nei corpi. Amati ,abbracciati , rispettati, desiderati , sacri e indicibilmente profani. Imprescindibile ,il contatto. La pelle. Finalmente. A casa. Senza dolore. Senza sale. Senza addii.

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