CAMBRIDGE, UNA TRAGEDIA (GRECA) ANNUNCIATA

Corro il rischio di essere accusata di aver perso il mio proverbiale veleno critico per annunciarvi che questo romanzo è qualcosa di veramente speciale; non certo un “page turner” come qualcuno lo ha impropriamente definito, ma molto molto molto di più.

Si inizia a leggere e subito si capisce che il thriller, pure ben presente, livido, brutale e pieno di suspense è una chiave che apre altre porte: l’attenzione è tutta concentrata sui personaggi, sui paesaggi inglesi, sull’atmosfera di Cambridge con i viali coperti di foglie dorate dei faggi e le biciclette nere degli studenti incatenate ai parapetti di ferro battuto.

Michaelides ha scritto un romanzo che è anche un thriller, ma parla soprattutto di solitudine, disagio, marginalità sociale e mancanza d’amore, di comprensione, di altruismo, delle “parole per dirlo”. Ed è davvero difficile trovarle, le parole, perché la protagonista di questo racconto profondo e cupo è una donna che soffre la morte del suo compagno e che deve proteggere la propria nipote, giovane e fragile studentessa di Cambridge, da una sequenza di delitti che dilaga come una malattia perniciosa tra le frequentatrici del college.

Non c’era nessuno. Il Main Court era silenzioso e immoto. Era buio, a parte gli alti lampioni distanziati nel cortile. Le lampade luccicavano nell’oscurità, circonfuse dal rispettivo alone. Una bruma pesante filtrava dal fiume, avanzando lentamente in tutto il college. Mariana si asciugò le lacrime. Alzò gli occhi al cielo. Tutte le stelle, invisibili a Londra, erano luminosissime: miliardi di diamanti scintillanti nel nero infinito. Lui deve essere lì, da qualche parte.    – Sebastian, – sussurrò – dove sei? – Restò in ascolto, in osservazione e in attesa di un segno, una stella cadente o una nube di passaggio sulla luna. Qualcosa, qualsiasi cosa. Ma non c’era nulla. Solo oscurità.

Anche dal punto di vista tecnico il romanzo si presenta ben costruito: capitoli brevi, scrittura fluida e curata, personaggi sbozzati con poche, precise frasi e quasi tutti sospettabili di nefandezze omicide.

Abbiamo di fronte un autore solido e capace che ci racconta la sua storia con elegante fermezza e sembra spronarci a non girare la testa quando inciampiamo nel dolore, ma ad affrontarlo con coraggio e dignità per tentare di salvare il nostro traballante equilibrio psico-fisico.

Un thriller che lavora dentro e fuori; il lettore si sente curiosamente messo alla prova da Mariana, la protagonista – una psicoterapeuta in costante analisi di se stessa e del prossimo – che, guarda caso, siamo anche noi, inevitabilmente coinvolti nelle carenze dell’animo umano sottolineate dal racconto.

Un libro profondo, agghiacciante, scomodo e indimenticabile, uno di quei libri che si rilegge perché non è fatto solo di brividi e colpi di scena, ma scava dentro di noi chiedendoci di essere migliori e di osservare il mondo che ci circonda con maggiore attenzione ed empatia.

Un’ottima lettura, da cui avrei espunto le ultime cinque pagine di un epilogo inutilmente rassicurante, ma forse questa annotazione è da imputare al cattivo carattere della sottoscritta e non toglie nulla alla bellezza del racconto.

TRAMA

Ci sono professori capaci di incantare e far scoprire universi interi. È il caso dell’eccentrico, coltissimo Edward Fosca, il cui corso di tragedia greca è seguito con passione quasi ossessiva. Tanto che alcune studentesse, conquistate e rapite da quelle storie antiche, hanno fondato una setta segreta: Le vergini. Ma le ombre dei miti classici arrivano a minacciare gli alti saloni e le guglie gotiche di Cambridge. E quando alcune ragazze vengono ritrovate uccise molti degli indizi conducono proprio al professor Fosca.

Traduzione: Seba Pezzani

Ascoltate l’incipit letto da Barbara:

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