Chi ha letto la mia recensione sulla Bottega del Giallo già sa quanto io abbia apprezzato Plenilunium di Angelo Basile. È un romanzo che avrebbe potuto essere uno dei soliti romanzetti per adolescenti, ricco di banalità e luoghi comuni e invece, grazie all’abilità dell’autore, esce fuori dall’ordinario e diventa carico di significato pur restando un validissimo giallo. Ho quindi accolto con piacere la possibilità di approfondire alcuni aspetti inerenti la gestazione della storia.

Hai scritto un incipit molto intrigante, non c’è dubbio, tuttavia secondo me è stato un bell’atto di coraggio. Siamo abituati al thriller storico, al giallo con venature mistico/religiose, e sappiamo anche che hanno un bel successo, ma iniziare calando il lettore direttamente nel passato ancestrale della religione cristiana…beh, a me sarebbe venuto un brivido di paura al pensiero di farlo. Tu non hai avuto il timore di osare troppo, suscitando una reazione contraria al desiderato?

Cara Gabriella, intanto colgo al volo l’occasione per ringraziarti, ancora, del tuo apprezzamento. Plenilunium è stata una grande sfida, a partire dall’incipit, come dici tu, ma anche la volontà di ambientarlo quasi interamente in una periferia italiana, per creare un parallelo con ciò che mi premeva indagare, la periferia dell’animo umano, le zone d’ombra. Trattare un genere così caro alla letteratura anglo americana, la licantropia, e renderlo credibile, inserirlo all’interno di un contesto corale senza scadere nel provincialismo. Poi creare una tensione che non si sfilacciasse fino alle ultime pagine, il colpo di scena finale, riuscire a non svelare la vera identità del licantropo fino all’ultimo. Devo dire che scrivendolo traevo energia proprio dall’affrontare questi continui confronti. Alla fine ero felicemente esausto. Per rispondere nel merito alla tua domanda, il protagonista del mio incipit è un servitore, un personaggio umile che poi scompare dal romanzo, ma credo vi lasci una traccia profonda. Ho immaginato di osservare fugacemente attraverso i suoi occhi stanchi l’uomo che cambierà il mondo da noi conosciuto, il Cristo, avendo l’accortezza di far parlare sempre lui, il servitore, e mai Gesù, perché volevo che fin dall’inizio si capisse che il romanzo, pur sfruttando l’elemento fantastico, fosse fortemente legato a un piano reale. Non si possono mettere parole in bocca a Cristo, tranne quelle scritte nei vangeli, senza rischiare di essere ridicoli o blasfemi, in ogni caso poco credibili. Ma ci si può calare, come autore, nei panni di un vecchio che non crede e affidargli un compito che porterà, suo malgrado, al compimento di uno dei cardini sui quali la fede cristiana poggia. Sì, sì, hai ragione tu. Una sfida emozionante. E più di un brivido mi ha accarezzato la schiena.

Il tuo romanzo si basa su un assunto di fede, e anche qui hai forse corso il pericolo di scontentare sia chi in quella fede ha riposto la sua vita, sia chi invece decisamente la rifiuta. Lo hai fatto consapevolmente perché ti piace la sfida, è stato ciò che si può definire un rischio calcolato, o la storia ti si è presentata così, già praticamente compiuta?

Come avrai già capito ho un rapporto con la scrittura molto passionale, quasi fosse un’amante. Se una storia non mi emoziona, non la racconto. Quando scrivo spesso sorrido con i miei personaggi e a volte mi commuovo fino alle lacrime. Se mi accade, capisco di avere scritto qualcosa di buono. Sono io il mio primo lettore, e ti assicuro che è una cosa difficilissima avere un giudizio obiettivo. Naturalmente non basta, se lo pensassi sarei un pessimo scrittore. Una storia è tanto di chi la scrive quanto di chi la legge e le emozioni che suscita sono tutte legittime. Questo per dire che le vicende che narro in Plenilunium, la storia d’amore tra Eleazar ed Ester, tutte quelle degli altri personaggi che si intersecano fra loro e forniscono uno sfondo fatto di luci e ombre, grandezze e miserie, mi sono piaciute mentre le immaginavo, ancora di più scrivendole e per ultimo rileggendole. Non credo che la fede del lettore, che ci sia o meno, possa influire sulla bellezza della storia. È probabile che per una persona che crede abbia una valenza diversa, ma non inferiore a chi invece la fede non ce l’ha. Plenilunium non vuole avere un fine escatologico, è solo una bella storia da raccontare, spero.

Il personaggio principale, Eleazar, è assai carismatico e il perché lo si comprende procedendo nella lettura. A me è piaciuto molto, come tutto il romanzo del resto, e mi sono chiesta – data appunto la sua “forza” – se tu hai avuto possibilità di scelta nel tratteggiarne il carattere. Mi spiego meglio: a me capita a volte, in particolare con i personaggi forti, di subire passivamente la loro personalità e di essere semplicemente la portavoce di una narrazione su cui non ho potere decisionale. È successo anche a te? Come ti sei comportato con lui?

Tutti i personaggi di Plenilunium e non solo, direi tutti i personaggi di cui scrivo in generale, riassumono su di sé delle caratteristiche che sfrutto letterariamente, a volte esasperandole, per fornire loro uno spessore che li renda immediatamente identificabili dal lettore durante tutto lo svolgimento del romanzo. Mi piace pensare di renderli familiari, come fossero vecchi amici, quasi il lettore potesse ascoltarne la voce che immagino abbiano, le stesse tonalità che mi rimbalzano in testa mentre scrivo. Un altro motivo per cui lo faccio è esorcizzare nevrosi e paure, questo naturalmente grazie ai “cattivi”, che si immolano a questa causa. In cambio li rendo indispensabili allo svolgersi delle vicende. In Eleazar ci sono tutte le sofferenze dell’uomo, amplificate. La paura di amare, di fallire nel proprio compito, il terrore della perdita. Tu dici che è forte ed è verissimo, ma la sua forza si esplicita nella propria fragilità. Ho voluto che fosse così e non è stato semplice. In tutto il romanzo gioco molto con la dualità delle cose, la faccia illuminata della luna e quella scura, il bene e il male insito nelle persone, l’amore sensuale e l’amore malato, il bene e il male. Eleazar è, in questo, uno dei personaggi più riusciti. L’eroe infelice.

Leggendo il romanzo ho avuto l’impressione che, aldilà dell’invenzione affabulatoria, ci sia un sottofondo di testimonianza cristiana. Sono curiosa di sapere se è stata solo una mia impressione dovuta alla tua capacità di immedesimarti a tal punto nel personaggio da rendere realistico un substrato di pura fantasia o se invece tu non abbia trasposto in Eleazar un vero sentimento di fede.

La fede è una cosa talmente complicata e intima. Non è facile parlarne. Sono un uomo pieno di contraddizioni. Sono un uomo. Non starò qui a esporre le mie perplessità o i miei convincimenti. Attraverso Eleazar lancio un grido di speranza di cui io avevo bisogno. Immagino possa essere condivisibile.

La parte strettamente storica, quella dell’incipit, dura poche pagine, eppure ho notato una grande attenzione nella scelta dei nomi perché fossero significativi del personaggio, quindi sicuramente c’è stata una ricerca storica. Quanta parte questa ricerca ha preso del tempo che hai dedicato alla stesura?

Tantissimo! Non esiste un solo episodio storico citato in Plenilunium, se pure romanzato, che non sia stato oggetto di ricerche approfondite, proprio per quel rapporto di onestà che cerco di instaurare con i lettori. Non racconterò mai loro meno che la verità. Solo per l’incipit, ho fatto ricerche storiche, geografiche, antropologiche e perfino climatiche. Mi documento maniacalmente su tutto, prima di scrivere, e mentre scrivo, per rendere la storia il più credibile possibile, per regalare al lettore quel momento magico in cui, alzando gli occhi dalle pagine, si domanda”e se fosse vero?”, per poi scuotere la testa e dire “ma no, c’è un lupo mannaro, diamine!”. Però quell’attimo di dubbio che ha fatto crollare il confine tra reale e fantastico c’è stato e il mondo è sembrato sconfinato…magia! Giusto per darti un parametro temporale, per scrivere Plenilunium ci ho messo un anno, battendo sulla mia tastiera soprattutto di notte. E non solo quelle di luna piena.

Per chiudere, ti faccio la stessa domanda che mi sento ripetere ogni volta che qualcuno, specialmente qualcuno che mi conosce (non so perché, forse do l’idea di una ameba amorfa e decerebrata ai miei conoscenti?), mi fa quando legge un mio libro: ma come ti vengono certe idee? Ecco, la rivolgo a te, ma non essendo una tua conoscente spero di non instillarti lo stesso ambiguo dubbio. Dunque, come ti è venuta questa idea così affascinante? Qual è stata la spinta propulsiva? O anche, più semplicemente, quale lampadina si è accesa nella tua mente?

Condivido con te il divertimento che nasce nel guardare negli occhi chi mi fa questa domanda, come se pensasse che a stento abbia l’uso dei pollici opponibili. Di solito me la cavo con un sornione “eh, sapessi…”. Non farò altrettanto con te. Però devo correggerti. Dici di non essere una mia conoscente, ma avendo letto Plenilunium, per quanto ti ho detto finora, attraverso i miei personaggi conosci frammenti della mia anima. Nera come l’inchiostro. La senti la musica gotica in sottofondo?

No, scherzo, perdonami. Plenilunium nasce da molteplici suggestioni. Te ne dico solo alcune, altrimenti sarebbe troppo lunga. Prima tra tutte una mancanza di informazioni su una figura fondamentale per la dottrina cristiana ma che viene citata solo due volte nel vangelo di Giovanni, quasi fosse stata poi occultata per qualche motivo (tu sai di chi parlo, ma non lo dico qui, hahaha!).

Poi da un viaggio che ho fatto per mare diretto in Camargue, più precisamente a Saint Maries de la Mer, dove sono vive alcune leggende. Dalla voglia di parlare di donne coraggiose. Dall’avere visto e fotografato la luna piena del novembre 2016, la più grande, a detta degli astrologi, degli ultimi settanta anni, in relazione al mio amore per la letteratura gotica, da Stoker a Shelley e tanti altri. Potrei darti altre cento motivazioni, ma la pura verità è che mi piace scrivere, mi emoziona, mi esalta, mi incuriosisce e mi sussurra: sei vivo! Non è una gran cosa? Grazie per le tue domande, che al contrario, forse, delle mie risposte, non sono state mai banali.

Grazie ad Angelo Basile per il tempo concessoci e vi ricordiamo il suo romanzo Plenilunium edito da Oakmond Publishing.

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