Miss Marple: Nemesi si potrebbe definire un giallo sequel, rappresentando una sorta di proseguimento e conclusione a distanza di anni di Miss Marple nei Caraibi. È infatti in quest’ultimo che l’arguta vecchina di St. Mary Mead incontra per la prima volta Jason Rafiel, lo stizzoso e cagionevole multimilionario, pure lui in vacanza nell’isola caraibica, che collaborerà con lei per risolvere il caso in oggetto, un’inspiegabile sequela di delitti che rischia di veder salire sul banco degli imputati l’incolpevole Molly, proprietaria dell’hotel nel quale alloggiano i protagonisti.
La ragazza – che nel finale risulterà naturalmente libera da ogni sospetto grazie all’azione congiunta dei due anziani e un po’ improbabili angeli custodi e potrà riprendere con successo la sua carriera d’albergatrice stavolta solitaria – ha infatti la sola colpa d’aver sposato l’uomo sbagliato, secondo uno schema ricorrente legato a due temi anch’essi frequenti nella Christie.
Il primo è la location turistica, vacanziera, altra rispetto alla quotidianità e comunque sempre alberghiera; basti pensare al gran numero di romanzi che l’autrice ambienta in hotel e pensioni più o meno di lusso: dallo Styles Court decisamente britannico dell’esordio (che nell’ultimo Sipario diverrà proprio una pensione di medio livello gestita dall’irascibile signora Luttrell) al fascino luminoso e quasi mediterraneo del Jolly Roger di Corpi al sole – o a quello esotico e un po’ banalotto appunto di Miss Marple nei Caraibi; dall’ingannevole perfezione retro del Bertram Hotel di Miss Marple al Bertram Hotel al fasto fin de siecle dei candidi alberghi sul Nilo, fino allo charme provinciale e un po’ vecchiotto delle tante minuscole pensioncine di campagna.
E il secondo è il tema del matrimonio sbagliato e un po’ frettoloso, dell’invincibile predilezione che alcune donne nutrono per l’uomo appunto sbagliato, bugiardo, ingannatore: quando va bene solo disonesto e omicida, ma almeno sinceramente innamorato (ad esempio il Lance di Polvere negli occhi, genuinamente incantato dalla sua Pat) ma più spesso apertamente malvagio e persino, a volte, un po’ dissestato psichicamente (come in Poirot sul Nilo o in Nella mia fine è il mio principio).
Questo per dire che in Nemesi confluiscono alcuni dei motif prediletti dalla Christie. E a proposito, Nemesi è il soprannome che l’arzilla vecchina si sente conferire sul campo proprio da Rafiel, quella notte di tanti anni prima ai Caraibi che la vede appunto precipitarsi in aiuto dell’innocente facendosi strumento di vendetta per il colpevole.
Lo stesso Jason Rafiel che, in questo sequel conclusivo, le chiede in sostanza di risolvere per lui, che è ormai al di là di qualsiasi azione terrestre e concreta, un tragico mistero.
Nemesi inizia infatti con una lettera postuma, in cui l’eccentrico vegliardo, da poco defunto, incarica l’amica di quella lontana vacanza caraibica d’intraprendere un viaggio organizzato, un tour nei giardini dell’Inghilterra centrale (i giardini, altra grande passione dell’autrice) nel corso del quale le verrà offerta – ma solo se lei saprà coglierla – la chiave per ripercorrere un episodio delittuoso che affonda le sue radici nel passato e che forse in passato non ha avuto la sua giusta conclusione.
Ovvero la misteriosa sparizione della giovane Verity, la figlia adottiva delle tre donne in casa delle quali Miss Marple troverà ben presto ospitalità, durante la sosta forzata del tour connessa col brutale omicidio d’uno dei componenti del gruppo, l’anziana direttrice di scuola Elizabeth Temple, che avuto come alunna la ragazza scomparsa e che viene investita da un pesante macigno spinto giù da qualcuno durante una passeggiata nei boschi.
Per la scomparsa e il presunto assassinio di Verity, come Miss Marple apprenderà in corso d’opera, è stato all’epoca accusato e condannato proprio il figlio di Rafiel, Michael, ragazzo problematico e sbandato legato alla giovane donna da una relazione clandestina e che è tuttora in carcere.
Un po’ intimorita dall’esiguità degli indizi in suo possesso, l’impavida Marple si aggrega comunque di buon grado agli altri appassionati di ville e giardini nel tour offertole dall’amico defunto, durante il quale dovrebbe appunto riuscire a entrare in contatto con prima, e a riconoscere poi, i protagonisti di quel dramma di tanti anni prima.
Ed è a questo punto che, complice appunto l’assassinio della signorina Temple, Miss Marple accetta l’ospitalità delle tre sorelle Bradbury-Scott, Clotilde, Anthea e Lavinia: esponendosi all’atmosfera irriducibilmente triste del Vecchio Maniero, la casa di famiglia delle tre (“L’aria era impregnata di una malinconia penetrata troppo profondamente perché la si potesse rimuovere…”) e fornendo all’autrice l’opportunità di tratteggiare l’indimenticabile ritratto di queste ultime (tre donne, tre streghe di shakespeariana memoria, altro tema ricorrente in Agatha, basti pensare a Un cavallo per la strega).
In special modo della prima, l’austera Clotilde: “Una bella donna alta, con i capelli folti e neri… sembrava Clitennestra. Era il tipo di donna che pareva capace di pugnalare allegramente il proprio marito… solo che Clotilde non si era mai sposata…”.
Ma anche della nervosa, smarrita Anthea dai lunghi capelli grigi, che vorrebbe far rimettere a posto il giardino e soprattutto il rialzo vicino alla serra, da troppi anni sepolto sotto quell’invadente, selvaggia passiflora; e nel frattempo non fa che guardarsi alle spalle “come se temesse che qualcuno la stesse spiando… faceva pensare a un fantasma, oppure a una versione matura di Ofelia…”.
E di Lavinia, l’unica delle tre a essersi sposata ma che adesso, si capisce, è vedova, e vive con le altre due nella magione avita: “grassoccia, cordiale, forse un po’ timida”, non si sa mai cosa pensi e comunque appena può se ne va di casa, rifugiandosi periodicamente in un’altra casetta che ha avuto il buon senso di comprare per sé sola, porto sicuro dalle stranezze delle sorelle.
Nel Vecchio Maniero, in quella casa grande, malandata e molto triste si trova, ben nascosta, la chiave del mistero: e starà naturalmente a Miss Marple riportarla alla luce, liberandola dall’intrico che l’ha avvolta e soffocata per tanti anni, come la passiflora ha invaso e soffocato, con la sua natura esclusivista così simile a quella dell’autoritaria Clotilde, ogni altra giovane pianta del giardino.
Traduzione: Diana Fonticoli
Editore: Mondadori
Anno: 1972