LA MUSICA LA DIRIGE IL PROTAGONISTA
Leggere questo libro mi ha suscitato emozioni contrastanti: da un lato il piacere che sempre nasce dalla buona scrittura, dall’altro il senso di repulsione che deriva dal venire in contatto con la crudezza della storia. Da un certo punto di vista, potrebbe essere una storia d’amore, perché c’è l’amore. È il sotterraneo propulsore che muove il protagonista nella sua ricerca e lo spinge a rischiare anche la sua vita. Ma potrebbe anche essere un romanzo distopico, non fosse che non è una previsione di un orribile futuro di là da venire, ma una squallida realtà del presente. Come in tanti altri gialli, il male scorre. È normale, no? Cioè, in un giallo c’è sempre un assassino. O più assassini. O uno, o anche una coppia di psicopatici che godono nel farlo alle vittime, il male.
Quello che mi ha colpita, dolorosamente colpita, in questa storia, è che il male è normale, endemico, accettato da tutti. Non mi sono divertita, a leggere. Non che sia un demerito, eh, non voglio dire che il romanzo è brutto, o scritto male, o chissà che altro. Anzi, il problema consiste esattamente nell’opposto, perché è scritto benissimo. Tu leggi, e immagini ogni dettaglio, vedi ogni dettaglio, di questa realtà marcia e maleodorante in cui la schiavitù sessuale di giovani donne è prassi comune. Ma sì, magari c’è chi si dispiace, chi vorrebbe fare qualcosa ma… tanto fan tutti così, non c’è speranza di cambiamento, chi sono io per oppormi.
Ecco, è questa accettazione passiva e complice che ferisce l’anima di chi legge. Complimenti all’autore per la resa vivida di questo crudo spaccato di vita. Detto questo, passiamo ai particolari più strettamente letterari. La cover, prima di tutto. Molto fine, sottilmente elegante e leggera, con dei tratti direi quasi graffiati più che disegnati. Il ricorso al bianco e nero con le sole eccezioni di due note di colore, al contrario del testo concede molto poco all’immaginazione. Giusto un accenno, tanto per inquadrare l’Oriente in cui si sviluppa la storia.
Anche la trama è complessa e movimentata il giusto, con alcuni colpi di scena particolarmente apprezzabili. Scoprire il responsabile della tratta delle schiave, il perverso fruitore della piccola stanza
oscura, è stata una sorpresa ottimamente misurata. Tutto il libro è scritto secondo il La dato dal diapason che è il personaggio principale, un giornalista che vive – più che del suo lavoro – di espedienti meschini, che passa il tempo a rimestare nel fango degli scandali per ricattare ed estorcere denaro a personaggi più o meno noti. Non il massimo, né come eroe né come principe azzurro, ma adatto per il perverso ambiente in cui si trova a operare.
Non ho apprezzato, invece, l’eccessivo ricorso al linguaggio vietnamita che appesantisce i dialoghi. Non ne ho compreso la necessità. Inizialmente sì, per ambientare al meglio il protagonista e calare il lettore nel paese in cui si svolgono le azioni, ma alla lunga diventa ripetitivo e fastidioso. Sarà perché io non riuscivo comunque a saltare la lettura di tutte quelle frasi pur non comprendendole, e quindi probabilmente è colpa mia, ma ne avrei fatto volentieri a meno.
Traduzione: G. Falconi
Editore: O Barra O Edizioni
Anno: 2018