IL PRIMO ROMANZO GIALLO SCRITTO DA UN AFROAMERICANO
Nata come colonia olandese nel Diciassettesimo secolo e sviluppatasi nel Diciottesimo come estensione dell’area di New York, cui sarà annessa nel 1873, la porzione dell’isola di Manhattan detta Harlem, fino ad allora ricco sobborgo di campagna, conosce da quell’istante una rapidissima espansione economica e immobiliare, arricchendosi di eleganti palazzine destinate ad accogliere bianchi benestanti.
Ma solo trent’anni dopo, nel 1905, il crollo del mercato immobiliare legato a una serie di cattive speculazioni fa precipitare d’un tratto il valore delle belle case dalle ricche verande merlettate e dai fantasiosi ghirigori in legno e stucco. Così, mentre le facoltose famiglie bianche cominciano a spostarsi altrove, in città si registrano i primi arrivi dei nuovi nuclei afroamericani: che alla fine degli anni ’20 saranno talmente numerosi da promuovere definitivamente Harlem al ruolo di capitale virtuale dell’America dalla pelle scura.
Anche se le vecchie elite intellettuali di colore guardano pur sempre con diffidenza alla città nata dall’antico villaggio olandese (tuttora priva di un’università di prestigio dove mandare le giovani generazioni, come quelle di Filadelfia e Washington) e rifiutano di lasciarsi coinvolgere dalla sua spumeggiante vitalità, Harlem è di fatto ormai il fulcro della letteratura e dell’arte, della musica e del teatro afroamericani.
“Tutti gli intellettuali afroamericani che volevano lasciarsi alle spalle un passato di subalternità e discriminazione andavano a vivere lì”, come scrive nella sua interessante postfazione Pietro Meneghelli. Rudolph Phisher, autore di questo notevole Dark Harlem, non apparteneva, per nascita e formazione, alla città. Nato a Washington nel 1897 nella famiglia d’un pastore battista, era cresciuto a Providence, e dopo la laurea in medicina aveva completato gli studi in biologia e radiologia ancora a Washington. A New York si trasferirà solo nel ’25, dopo aver ottenuto un posto da ricercatore presso la Columbia University. Tuttavia nel ’27 Fisher apre uno studio medico ad Harlem, e da questa postazione privilegiata comincia a rappresentare la realtà che lo circonda.
Nel ’25 escono i suoi primi racconti, che mettono a fuoco le divisioni tra la gente di colore (sottolineando come nelle proprie comunità i neri godano di una considerazione inversamente proporzionale all’intensità della pigmentazione della loro pelle) e nel ’28 darà alle stampe il suo primo romanzo, The Walls of Jericho, in cui propugna la necessità di far cadere i muri che separano la vecchia upper class di colore di Harlem dalle classi più subalterne. E benché a causa di questo messaggio le altezzose famiglie bene della città lo guardino con sospetto – del resto l’autore le tratteggia come snob e fondamentalmente prive di valori etici – il libro ha un certo successo e apre la strada appunto a Dark Harlem, che uscirà nel ’32, diventando il primo romanzo poliziesco scritto da un autore afroamericano.
La trama, intricata e ricca di colpi di scena, si snoda prevalentemente in stanze chiuse o in brevi passeggiate per i vicoli, il che rende questo romanzo particolarmente adatto a una messinscena teatrale (cui stava lavorando lo stesso Fisher prima che la morte lo cogliesse prematuramente, a soli 37 anni, e che venne poi portata a termine da altri e rappresentata al Teatro Lafayette nel ’36): anche in considerazione della straordinaria galleria di personaggi, non ultimo gioiello del libro.
Ecco, a grandi linee, la storia: Frimbo, il più famoso medium di Harlem, viene trovato cadavere nel suo studio. Quando il dottor Archer e l’investigatore Perry Dart arrivano sulla scena del delitto chiamati dall’ultimo cliente, Jenkins, nella sala d’aspetto trovano sette persone in attesa di conferire col veggente, e tutte, sulla carta, potrebbero essere colpevoli.
I sospetti cadono però proprio su Jenkins, l’unico presente nello studio al momento dell’omicidio, anche perché risulta esser suo il fazzoletto trovato nella gola del morto e sua l’impronta digitale scoperta sul manico della mazza usata per stordire la vittima.
Ma mentre le indagini procedono, il corpo del cartomante scompare e i moventi si moltiplicano: forse il colpevole è Hicks, che potrebbe aver voluto far vendetta del fratello, ammalatosi gravemente, secondo lui, a causa d’una maledizione lanciatagli proprio da Frimbo, o forse l’omicidio è da imputare alla malavita di Harlem, stufa di dover far fronte alle continue vincite del veggente alla lotteria clandestina…
Dark Harlem è un romanzo geniale e smagliante che consegna un ritratto affascinante e vivido della Harlem degli anni Venti, con le sue sale da biliardo avvolte nel fumo, i vicoli illuminati dalla luna, i salottini bui dove uomini e donne vanno a farsi predire la sorte sgusciando tra pesanti tende di velluto vecchio, il cameratismo maschile e la seduzione femminile; su tutti prevale la città, protagonista e comprimaria, ballerina di fila e vedette…
Incontrando l’allegro sfolgorio di luci della Settima Avenue di Harlem, la gelida notte di metà inverno sembrò perdere un po’ del suo rigore. Aveva già imposto una fissità glaciale a Battery Park e senza dubbio avrebbe congelato il Bronx. Ma qui, in questo interregno di ritmi musicali e risate, pareva farsi un po’ più tiepida e amichevole, forse perché s’accorgeva che gli abitanti erano, misteriosamente, scuri come lei. La strada trasse subito vantaggio da questa predilezione. I marciapiedi, rimasti deserti per tutta la fredda giornata invernale, ora sprizzavano vitalità… Giovanotti con pellicciotti di cammello si muovevano lesti dietro ragazze con pellicce di coniglio o di topo muschiato; uno scalpiccio di tacchi larghi e squadrati si mescolava al ticchettio di quelli alti e appuntiti. Si continuavano a sentire allegre voci che intonavano la canzone più popolare del momento: I’ll be glad when you’re dead…
Traduzione: Pietro Meneghelli
Editore: Fazi Editore
Anno: 1932