RIBELLARSI … E RIBELLARSI ANCORA FINCHE’ GLI AGNELLI DIVERRANNO LEONI
Questo dice Russel Crowe nel film Robin Hood del 2010 diretto da Ridley Scott. Una frase che potrebbe dire anche François Villon, protagonista assoluto dell’ultimo romanzo di Marcello Simoni, La selva degli impiccati.
Il romanzo più corale e sociale scritto da questo autore che non lascia la strada maestra del romanzo storico, ma si sposta, se vogliamo verso ambientazioni e vicende meno gotiche e medievali e più da Rinascimento. Siamo infatti a metà inoltrata del ‘400 e Villon sta marcendo in un buco delle prigioni parigine in attesa di essere appeso a una forca e mettere fine ai suoi giorni di ladro e baro. Succede, però, qualcosa di completamente inaspettato e l’uomo viene non solo graziato ma addirittura liberato da un gruppo di avidi e potenti figuri che in cambio gli chiedono di consegnargli la testa di Nicolas Dambourg, il capo dei Coquillards, una banda di fuorilegge ritenuta ormai sciolta e di cui il Villon avrebbe fatto parte in gioventú. Ma Dambourg, per Villon, è molto più che un vecchio compagno di avventure e tra il dire e il fare ci sono nel mezzo segreti, sete di potere, ingiustizie e vendette.
Non a caso citavo Robin Hood perché Villon a un certo punto del romanzo è come se si trasformasse in un paladino del popolo e in un nemico giurato del potere o dei potenti di turno che continuano a sottomettere e vessare i più deboli; a volte anche aggrappandosi a pretesti superstiziosi come quello che ha portato alla morte di un prelato, trucidato ingiustamente sotto gli occhi della piccola nipote perché in possesso di una misteriosa lampada che doveva nascondere un demone. Ingiustizie, persecuzioni, superstizioni. È qui che il romanzo storico di Simoni prende una svolta sociale e diventa quasi un racconto di denuncia dove gli oppressi agognano di sollevarsi contro gli oppressori e avere la giustizia che meritano. E insieme il lettore si ritrova sotto i suoi occhi anche un romanzo insolitamente corale dove François Villon resta l’indiscusso protagonista, ma viene altresì circondato da tanti personaggi minori che apportano ritmo e ginger alla narrazione.
Io personalmente preferisco il Simoni de L’abbazia dei cento peccati e de La cattedrale dei morti perché lo ritengo più autentico e originale. Questo non vuol dire che La selva degli impiccati sia un
cattivo romanzo o un libro scritto male, anzi, la cultura di Simoni è sempre evidente, così come la sua scrittura è sempre precisa, minuziosa, elegante. Ma questo ultimo libro, purtroppo, sembra qualcosa di già letto altrove o già scritto in passato. Nessuna emulazione, ci mancherebbe! Solo che il Simoni dei primi romanzi storici possedeva una bellezza tutta sua, un graffio personale che in questa sua ultima fatica letteraria sembrano essersi un po’ appannati. L’ultima parola, però, resta sempre ai lettori.
Editore: Einaudi
Anno: 2020