IL DIAVOLO DI MAGGI NON MOSTRA SOLO LA CODA MA ANCHE GLI ARTIGLI
Inizia col botto, questo romanzo. Un incipit di poche righe, ma dure e graffianti, parole che restano incise nella mente di chi legge e creano tensione e aspettative che non vengono deluse. Il libro prosegue col ritmo stabilito dall’incipit, veloce e duro, senza pietà. Non c’è posto per i buoni sentimenti, e la giustizia non è mai semplice, né è chiaro se vi sia, o vi potrà mai essere, davvero giustizia.
Leggi, e ti sembra di sentire le percussioni che battono il tempo, incalzanti. Le sonorità sono quelle brutali di un paesaggio aspro come il protagonista. Non ci sono cedimenti alla dolcezza, tranne forse in alcune pagine, quando l’autore lascia la parola alle madri. Ma è la storia stessa, per quello che narra, per i personaggi che mette in campo, a non lasciare spazio ad azioni che non siano afferibili alla violenza.
La storia è quasi sempre lineare e segue le vicende di Sante Moras, secondino di un carcere in Sardegna, che viene coinvolto suo malgrado nell’omicidio di un assassino. Ma il Moras non è un agnello sacrificale, bensì un uomo duro, con un passato nella Legione Straniera che lo ha reso molto diverso da una classica guardia carceraria. È forte, allenato, addestrato alla sopravvivenza e metterà in campo tutte le sue abilità pregresse per sfuggire al destino che hanno scritto per lui. Potrebbe anche addirittura rimettere le cose a posto, fare giustizia, se non per tutti almeno per gli innocenti. Ma nel suo passato non c’è solo la Legione. Tornando ancora più indietro nel tempo con dei veloci flashback, lunghi il giusto per instillare il dubbio, l’autore ci suggerisce che c’è dell’altro. Altro male, altro dolore, altra… giustizia? O ingiustizia? Non lo sapremo se non alla fine, come è giusto che sia. E allora vedremo che ogni tassello contribuisce a creare l’uomo del momento attuale: non un eroe, ma neppure una vittima. E ancor meno un protagonista.
Perché una cosa dev’essere ben chiara, in chi si accinge a leggere: il vero protagonista è il Male. Un male tanto più terribile in quanto del tutto indifferente all’umanità. La scrittura è molto fluida, il ritmo è sostenuto, sia pure con qualche sporadico calo, i personaggi ben delineati caratterialmente. La storia è intrigante, lontana dagli stereotipi, molto ben architettata. Un ottimo prodotto, dunque. Eppure ci sono alcuni piccoli particolari che non mi convincono del tutto. La perfezione fisica del personaggio principale mi ha lasciata dubbiosa, per dirne uno. Anche se è comunque giustificata dal suo passato, mi sembra un po’ eccessiva, dato l’ambiente in cui questo si muove al presente, in un ripetitivo tran-tran che appiattisce ogni stimolo.
Ho poi trovato un certo compiacimento nell’uso di termini troppo specialistici, quasi l’autore volesse far mostra della sua competenza. Non mi è piaciuto perché mi hanno costretta a interrompere la lettura, spezzando quindi il ritmo, per andare a cercare sul vocabolario il loro preciso significato. Nulla di particolarmente esecrabile, certo, ma se trovo apprezzabile questa spinta a nuove conoscenze quando, per esempio, mi diletto con i cruciverba, la cosa mi irrita quando mi distrae dalla lettura di un thriller.
Ho molto apprezzato la fine. Io faccio spesso riferimento alla fine dei romanzi, nelle mie valutazioni, perché alcune volte un ottimo libro viene rovinato da una fine scontata o che giunge troppo in fretta. In questo l’autore non ha sbagliato la dose. Di forte impatto la cover, che ci cala subito nell’ambiente aspro e quasi ostile in cui si svolge la storia, e anche il titolo, che suggerisce il male che la permea e l’attraversa.
Editore: Longanesi
Anno: 2018