Il club dei filosofi dilettanti

Il club dei filosofi dilettanti

Il club dei filosofi dilettanti di Alexander McCall Smith è il primo della serie investigativa con al centro Isabel Dalhousie, fascinosa filosofa ultraquarantenne, personaggio riservato ma interessante della scena culturale edimburghese e zia dell’irrequieta Cat. Isabel dirige una rivista di etica applicata e suo malgrado si trova spesso coinvolta in casi un po’ misteriosi: forse perché l’autore concorda con la Christie nel ritenere che alcune persone siano dei catalizzatori di eventi e così come chi ha una predisposizione naturale per le catastrofi potrà passare tutta la vita all’asciutto, ma appena metterà piede su una barchetta farà naufragio, chi è naturalmente portato a investigare fatalmente investigherà.

Così fa appunto Isabel, che però è anche e forse prima di tutto una filosofa e dunque porta nella sua ricerca i ferri del mestiere: il senso di responsabilità, l’etica della vicinanza, l’onestà intellettuale e l’attenzione per la personalità e l’esistenza altrui. Partendo da queste premesse McCall Smith – che è nato e cresciuto in Zimbabwe prima di completare gli studi in Scozia, dov’è professore di Medicina legale all’Università di Edimburgo e vicepresidente della commissione inglese per la genetica, oltre che scrittore di gialli e creatore di tre serie di mistery: anche lui una doppia vita, come la sua filosofa investigatrice – costruisce una storia a un tempo ossessionante e lieve con al centro la morte d’un ragazzo, che precipita dalla balconata del Teatro dell’Opera di Edimburgo davanti agli occhi di Isabel.

Omicidio, disgrazia o suicidio: la protagonista vaglia le possibilità incontrando amici e conoscenti, frequentando caffè e mostre d’arte, cucinando risotto e insalata, correggendo articoli e saggi e sorvegliando le mosse di compare Volpone, la volpe selvatica che ha inaspettatamente preso dimora nel suo giardino. E soprattutto applicando al mondo e alle cose la lente d’ingrandimento della propria coscienza morale, che la guiderà verso una soluzione atipica imperniata sull’etica del perdono: “Gli studi dei filosofi si incentrano su problemi di questa natura, rifletté Isabel. Il perdono è un argomento che li appassiona, così come il castigo. Bisogna punire i colpevoli, non perché faccia sentire meglio – alla fine ci si sente su per giù come prima – ma per ristabilire un equilibrio morale. E’ una dichiarazione di condanna dell’errore, che ci aiuta a mantenere un senso di giustizia nel mondo. Ma in un mondo giusto vanno puniti solo coloro che hanno intenzioni malvagie e che agiscono con cattiveria”.

Sullo sfondo un’Edimburgo scintillante e misteriosa, insostituibile teatro di tutte le storie come la New York di Allen o la Roma di Moravia: “…Viveva al primo piano di un bel palazzo georgiano di Great King Street. Era una delle vie più belle della New Town, e dal suo lato si aveva una splendida vista sul Firth of Forth… si vedeva la striscia di mare blu e oltre l’acqua sorgevano le colline del Fife… Erano appartamenti definiti con salone, perché comprendevano la sala principale delle antiche case, che erano state suddivise. Avevano, perciò, soffitti più alti e finestre a parete, grandi vetrate da cui la luce inondava le stanze”.

E c’è poi il costante contrappunto d’una serie di riuscitissimi personaggi minori: Cat, la bella nipote della protagonista, proprietaria d’una ricercata gastronomia nel cuore della città e fidanzata seriale di uomini sbagliati; la governante Grace con la sua inscalfibile saggezza e l’insospettabile passione per l’esoterismo; Jamie dal cuore spezzato e dal bell’aspetto, il ragazzo d’oro che Cat ha scaricato con stupefatto disappunto della zia; Toby coi suoi pantaloni color fragola e la sua conoscenza dei vini, l’arrogante rampollo della ricca borghesia mercantile che la ragazza frequenta al momento e Isabel trova, naturalmente, insopportabile; e molti altri – tra cui indimenticabile resta la fuggevole apparizione di Geoffrey McManus, il giornalista che vuol strappare alla Dalhousie delle dichiarazioni su quel che è avvenuto e di fronte al rifiuto di lei trapassa in modo repentino e sinistro dalla formale cortesia dell’entrata alle battute francamente insultanti e velatamente canzonatorie dell’uscita.

Una delle cose migliori di questi libri sono poi le meravigliose copertine dell’edizione economica della TEA, la casa editrice che ha pubblicato quest’autore in Italia. A differenza di quelle delle prime edizioni, infatti (che io personalmente trovo un po’ respingenti) quelle firmate dalla magnifica disegnatrice Hannah Firmin per l’economica sono davvero belle e genialmente allusive del contenuto sì da diventar in qualche modo un artistico complemento del libro stesso come ogni buona copertina dovrebbe sforzarsi di fare appena possibile.

In questa del Club campeggiano una caffettiera e relativa tazzina con una decorazione dipinta sopra che ricorda i palchi d’un teatro – alla base della caffettiera c’è pure la silhouette di una cantante in gonna e crinolina – e una lente d’ingrandimento in primo piano. Bevande e vasellame vario ispirano tutte le copertine della serie (dal bicchiere alto colmo di cioccolata scura e sormontato da una ricciolo di panna di Amici, amanti e cioccolato alla teiera di ceramica rossa osservata con sospetto da compare Volpone nelle Pratiche applicazioni di un dilemma filosofico… anche i titoli sono abbastanza atipici) in omaggio alla radicata abitudine degli scozzesi e dell’Inghilterra in generale di sedersi a riflettere davanti a una buona tazza di qualcosa di caldo non appena il clima lo consente – e cioè quasi sempre, in pratica. Un ultimo tocco di fascino a una storia già molto interessante.



Editore: TEA
Anno: 2007