QUANTI LUPI NEL BOSCO DI CAPPUCCETTO ROSSO!
Giallo ben strutturato, scritto con la mano sicura della sceneggiatrice, è un noir che si legge davvero tutto d’un fiato.
Viene ritrovato un giovane, presumibilmente ventenne, scomparso anni prima. Di sé ripete solo il nome, pare abbia vissuto nei boschi con un uomo che chiama padre e che è stato assassinato. La polizia barcolla nel buio: il ragazzo è vittima o carnefice di quell’uomo? Forse ambedue le cose? Lucia Pacinotti, giovane commissaria di stanza in un centro abruzzese, chiede aiuto ad un amico perso di vista da anni: Marco Lombroso, trisnipote di quel Cesare Lombroso padre dell’antropologia criminale e fortemente influenzato dalla discussa teoria fisiognomica.
Questo l’incipit della storia che risulta lineare, pulita, senza sbavature e, forse, l’inizio è un po’ troppo ben confezionato per far battere il cuore, oltre ad essere punteggiato da qualche scivolata nella banalità della fiction: Lucia si rilassa scalciando via le scarpe e versandosi un calice di buon vino rosso prima di affrontare le fatiche intellettuali del caso. Ci sta, ma è una scena già vista al cinema ed alla televisione, si poteva trovare qualcosa di meno prevedibile. Molto bella, invece, la descrizione dello spiazzamento emotivo del bimbo all’epoca del rapimento.
Stavolta, però, nessuno dei grandi nei paraggi ha una faccia conosciuta. Il bambino li osserva bene, uno per uno, anche quelli più distanti ma loro gli passano accanto senza abbassare lo sguardo, schivandolo, come se non esistesse. Il bambino sente quel dolorino in gola che preannuncia uno scroscio di lacrime. (…) I battiti del cuore si fanno pesanti come tonfi di massi gettati in uno stagno. “Ti sei perso?” Il bambino alza la testa verso la voce. A parlare è stato un signore che a giudicare dai capelli grigi potrebbe essere vecchio quanto il nonno, con la faccia meno simpatica, però. Il suo viso serio, senza un accenno di sorriso, non è il massimo che gli poteva capitare, ma quel signore è l’unico a essersi accorto di lui.
Meglio sarebbe stato se non lo avesse notato, ma è andata così e il racconto ci porta avanti e indietro nel tempo come fossimo in altalena, mentre ad ogni passaggio la storia diventa sempre più claustrofobica e densa.
A metà libro siamo totalmente presi dalla vicenda e sorvoliamo volentieri su qualche ingenuità, come il numero dei rapiti (“gli scomparsi” del titolo) che a mio parere è poco credibile in un contesto così scarsamente popolato come l’Abruzzo; un rapitore seriale di bambini che opera senza dare nell’occhio per vent’anni, lo vedo meglio in una città caotica come New York piuttosto che in una provincia del centro Italia. Nonostante ciò, grazie al ritmo serrato del racconto, siamo sempre più coinvolti e partecipi, tanto da faticare a staccarci dalla storia sebbene l’ansia ci tolga il fiato.
Ecco la presentazione di Alessia Tripaldi con La Strana Coppia:
Per concludere, è da sottolineare lo sforzo di Alessia Tripaldi per descrivere in modo realistico le reazioni emotive e psicologiche dei personaggi: poliziotti, testimoni, vittime e i loro parenti, tutti vengono raccontati con attenzione e desiderio di renderli vivi e palpitanti. Davvero un lavoro di cesello apprezzabilissimo e ben riuscito.
Una lettura che ci tornerà in mente la prima volta che passeggeremo in un bosco e ci obbligherà a guardarci dietro alle spalle una volta di più. Così, perché non si sa mai.
Editore: Rizzoli
Anno: 2020