Poirot sul nilo

Poirot sul nilo

La giovane e bellissima ereditiera Linnet Ridgeway conosce Simon Doyle, bel ragazzo squattrinato sul punto di sposarsi con Jacqueline De Bellefort, la sua migliore amica, e senza pensarci due volte glielo soffia sotto il naso e lo sposa.

Durante il viaggio di nozze – un viaggio a sfondo archeologico che prevede un tour sul Nilo e tra le piramidi – i due scoprono che nel gruppo c’è anche Jacqueline e che la ragazza è decisa a seguirli ovunque vadano, mettendo in mostra il proprio rancore e rovinandogli ogni istante.

Linnet, che da brava ereditiera “ha una mente da uomo d’affari” ed è incline a risolvere ogni cosa col denaro, decide allora di rivolgersi a Poirot, che per caso si trova incluso nello stesso giro intrapreso da lei e dal marito, per chiedergli di trovare una soluzione.

Poirot, al quale è capitato d’incontrare Simon e Jacqueline qualche tempo prima, durante una cena, e che ascoltando i loro discorsi d’innamorati ha pensato già all’epoca “è troppo presa, quella piccina… uno che ama e uno che si lascia amare… mah!”, consiglia a Linnet di portar pazienza, persuaso che nulla di legalmente perseguibile possa ravvisarsi nel comportamento di Jacqueline, e magari di cercar di seminare l’ex amica cambiando destinazione. Lui, intanto, parlerà con la ragazza, cercando di ricondurla alla ragione ed esortandola a “non aprire il suo cuore al male…”. La Ridgeway e il marito, sulla base d’un piano ideato da quest’ultimo, decidono invece di fingere con Jacqueline di partire per un altro luogo qualsiasi e salpano poi sul Karnak, un battello a ruote che risale il Nilo, convinti così di sottrarsi a quella specie di persecuzione.

Ma, una volta sul battello col resto dei compagni di viaggio, i due scoprono che a bordo, a dispetto di tutti i loro trucchi, c’è anche Jacqueline… Nell’impossibilità d’evitare la ragazza e visto che Linnet non può intervenire col suo denaro, prenotando magari un giro esclusivo per sé stessa e Simon, perché quest’ultimo “è molto suscettibile riguardo ai soldi… si figuri che voleva assumersi lui le spese del viaggio di nozze!” (come la giovane donna confiderà irritata a un assorto Poirot), i due decidono allora d’ignorarla, godendosi il viaggio e dimostrandole così la sua irrilevanza.

Ma una sera, esasperata dall’indifferenza dell’ex fidanzato, dopo una scena tempestosa sotto gli occhi imbarazzati degli altri ospiti – che, tra parentesi, hanno tutti dei gravi motivi di rancore contro la Ridgeway e certo non si addolorerebbero troppo per una sua eventuale dipartita, secondo uno schema simile a quello dell’altrettanto claustrofobico Corpi al sole (in cui invece che su un battello la storia si svolge su un’isola e che fornirà trama e personaggi a Delitto sotto il sole, girato nell’82 da Guy Hamilton con la medesima compagnia d’attori, Ustinov, Birkin, Smith…) – Jacqueline estrae dalla borsetta la sua “piccola pistola automatica col calcio di madreperla, graziosa come un giocattolo”: e spara, colpendo Simon a una gamba.

Nel trambusto che segue, l’automatica scompare e la mattina dopo Linnet – che è andata a dormire presto e non ha assistito alla scena – viene trovata morta nel letto con un colpo di pistola alla tempia… Questo l’intricato intreccio di Poirot sul Nilo, giallo appartenente alla cosiddetta trilogia esotica della Christie (Non c’è più scampo, Poirot sul Nilo e La domatrice), da cui nel ’78 John Guillermin trarrà il notevole Assassinio sul Nilo (Oscar per i migliori costumi ad Anthony Powell; miglior attrice non protagonista ad Angela Lansbury e nomination per Peter Ustinov e Maggie Smith per il National Board of Review Awards).

Il film, sostanzialmente fedele al libro e interpretato da un cast stellare – Sir Peter Ustinov, David Niven, Mia Farrow, Bette Davis, Maggie Smith, Jane Birkin, Angela Lansbury, Olivia Hussey… – sopprime o ridimensiona alcuni dei personaggi e delle storie minori del romanzo per dar rilievo adeguato ai non pochi sopravvissuti.

Scompaiono la simpatica e acuta signora Allerton e suo figlio, il giovane Tim dai traffici dubbi, che nel libro vive una storia d’amore a latere con la bella Rosalie Otterbourne (nel film conquistata invece da Ferguson); e sparisce anche la cugina di Tim, l’ambigua Joanna Southwood, protagonista in apertura di romanzo della cinica chiacchierata con l’amica Linnet e d’un intrigo criminale che nel film è solo marginale.

Del tutto assenti anche l’archeologo Richetti, l’avvocato Fanthorp e la giovane Cornelia Robson, l’impacciata ma nient’affatto sciocca parente a carico dell’anziana e pestifera nobildonna Marie van Schuyler: un’insopportabile, irresistibile Bette Davis, che nel doppiaggio italiano la nostra brava Anna Miserocchi dota d’una voce serpentesca e che qui sembra divertirsi a celebrare sé stessa.

E cambiano fisicamente le due rivali: abbandonando Jacqueline il “casco di riccioli bruni” e in generale tutta la propria figuretta mediterranea a favore della chioma rosso fuoco e della pelle lattea d’una efebica Mia Farrow dagli occhi ardenti, perfetta nel rendere l’esaltazione disperata dell’ossessione amorosa; e assumendo la bionda e slanciata Linnet del libro gli occhi scuri e le forme generose della bruna Lois Chiles.

Il film è un gioiello magnificamente musicato da Nino Rota e interpretato appunto da alcuni dei migliori attori di quegli anni. Ci sono una vacillante, gigionesca Angela Lansbury, a tratti quasi clownesca nei panni di Salomè Otterbourne, l’audace scrittrice di romanzi rosa che ha offeso la Ridgeway definendola una ninfomane e per questo vede pendere sul suo capo una querela milionaria che la porterebbe alla rovina; e sua figlia, la tormentata, ombrosa, intensa Rosalie, un’Olivia Hussey graziosa come un fiore di pesco.

La dama di compagnia della Schuyler, l’esacerbata miss Bowell (cui la Ridgeway ha rovinato finanziariamente il padre) è impersonata da una Maggie Smith splendidamente legnosa e mascolina; e una Jane Birkin molto francese e sempre sull’orlo d’una crisi di nervi è Louise, la cameriera personale di Linnet, cui quest’ultima ha rotto le uova nel paniere impedendole di sposare l’uomo del quale la ragazza s’è innamorata; mentre un aristocratico e intensamente britannico David Niven veste con divertito distacco i panni del colonnello Race.

E naturalmente Peter Ustinov, malgrado i colori nordici e la corporatura massiccia, entrambi lontani dal fisico non imponente e dai baffi scuri del piccolo investigatore belga, è un meraviglioso, collaudato, felino Hercule Poirot.

Splendida anche la fotografia di Jack Cardiff, col fiume azzurro pavone e le sabbie d’avorio a far da vivido sfondo alla storia; e davvero da Oscar i costumi di Anthony Powell (menzione speciale ai paludamenti in pizzo antico e perle della Davis, appollaiata sulla miglior poltrona del salone come un pericoloso uccello da rapina…).

…And the winner is: Bè, stavolta vince il film, benché il romanzo sia, come scrive Giampaolo Dossena nell’introduzione, “buono da leggere senza essere un capolavoro”. Ma il film, via, è come se puntasse una luce potente su tutta la storia, rendendone smaglianti i colori.