Ultima tappa per il blogtour dedicato al nuovo romanzo di Giovanni Ricciardi “La vendetta di Oreste” ed. Fazi Editore. Abbiamo avuto il piacere d’intervistare lo scrittore Ricciardi che ha creato un romanzo molto particolare che ritorna nel passato di un padre di famiglia. Che forse nasconde qualcosa, un segreto o una semplice vendetta?

Per chi se le fosse perse, ecco le tappe precedenti:

E adesso non ci resta che lasciare la parola all’autore in questa interessante intervista:

In copertina due nomi, il suo ed Oreste. Tra i vostri nomi la parola “Vendetta”. Cos’è la vendetta per Oreste e cos’è per lei?

La vendetta è il ristabilimento di un equilibrio, il non lasciare in sospeso i conti con la propria vita. Ma inevitabilmente, come nel mito greco di Oreste, essa è condannata a chiudersi nel cerchio della ripetizione, del sangue che chiama altro sangue, senza la possibilità di mettere un punto. Nella tragedia di Eschilo è l’intervento della Sapienza, raffigurata da Atena, a permettere una via d’uscita. Che coincide con l’assoluzione e il perdono degli dei.

Tutti i suoi romanzi partono da un fatto di cronaca o un evento storico, come mai questa decisione di non farsi travolgere dalla fantasia?

La fantasia è pericolosa, preferisco l’’immaginazione, che è una cosa leggermente diversa. Parte da un dato di realtà e lo elabora, lo mescola con altri fatti, lo condisce. La realtà, la storia, la cronaca, sono come gli ingredienti che una brava cuoca trova in una dispensa. Sta poi a lei assemblarli, cucinarli e dar loro il sapore giusto per un servire un piatto originale.

In questo romanzo si parla della “questione istriana”, un evento storico ben preciso. Come mai lo ha scelto?

A Roma, che è il luogo dove sempre iniziano e finiscono le indagini di Ponzetti, c’è un quartiere periferico, che nacque nell’immediato dopoguerra e che prende il nome di Villaggio Giuliano-Dalmata. Ho imparato a conoscerlo perché un’associazione culturale della zona mi invita da sempre a presentare i miei libri. Ho conosciuto questa gente mite e gentile, intelligente e curiosa, che è arrivata nella Capitale fuggendo dalla propria terra e abbandonando tutto e ancora porta gelosamente con sé la memoria di una ferita storica che pochi conoscono. Ho scelto di dar voce a questa memoria.

Le indagini del commissario Ponzetti iniziano ad essere un bel numero consistente, com’è cambiato il suo personaggio ed il rapporto tra di voi?

Il personaggio evolve con me, e nel tempo diventa forse più asciutto che nei primi romanzi, in cui c’erano molte riflessioni e digressioni non direttamente connesse alla storia: ma resta lo stesso nei suoi tratti fondamentali: un commissario riflessivo, un po’ nostalgico, a tratti malinconico, molto attento all’aspetto umano delle storie che incontra sul suo cammino. Una voce narrante che non descrive mai se stessa. Quasi un fantasma, che potresti incontrare per le vie di Roma senza voltarti. Eppure, per altri versi, un uomo concretissimo, senza grilli per la testa, attaccato al suo lavoro e ai suoi affetti.

Ponzetti, come da lei dichiarato, ha molti punti in comune con Maigret, ma ha anche una famiglia un po’ complessa che in questo romanzo diventa protagonista. Da cosa nasce l’idea di dare un maggior rilievo alla famiglia?

Ponzetti è vagamente ispirato a Maigret, nel senso che le sue indagini sono tutte fondate sul ragionamento e la deduzione, e poco sull’azione. Nei libri quasi non c’è sangue. Quanto alla famiglia, nasce con il mio personaggio. Già nel primo libro compaiono la moglie Gloria, le due figlie, Gisella e Maria, una ribelle, l’altra più pacata e poi via via la famiglia s’allarga e questo ha costituito per me un potenziale narrativo molto vasto. In ogni indagini, l’uno o l’altro dei membri della famiglia Ponzetti finisce per essere coinvolto nel caso del momento, e a volte offre un aiuto importante per risolverlo.

Non è un cold-case, ma una storia che viene dal passato. Può un romanzo giallo raccontare ed insegnare un accadimento reale?

Un giallo non è un romanzo storico, ma può partire da un’ambientazione storica, raccontare un epoca o un ambiente (come nei libri di De Giovanni ambientati negli anni Trenta) oppure – nel mio caso – inserire la trama in una porzione di storia italiana che ha aspetti tragici e non risolti ancora oggi.

Ponzetti escluso, a quale personaggio è più affezionato?

Sicuramente all’avvocato Galloni, una sorta di Guest-star che compare in ogni mio romanzo. Un uomo coltissimo e un po’ fuori dal mondo, inseparabile da Socrate, il suo cane cieco, che forma con lui una coppia affiatatissima.

Perché ha deciso di scrivere libri gialli?

Per caso. Cercavo un genere di storia che non mi permettesse di distrarmi dalla trama. Poi la formula ha avuto un discreto successo e il mio editore mi ha incoraggiato a continuare. Siamo arrivati così a nove romanzi in 11 anni.

Grazie a Giovanni Ricciardi, in attesa della prossima avventura di Ponzetti.

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