Uno scrittore incontra 5 lettori, in collaborazione con I Thriller di Edvige, la pagina più thrillosa di Facebook ma non solo … Questa volta l’incontro è con uno dei più promettenti scrittore del genere thriller: Mirko Zilahi. 

GABRIELLA PINAMONTI : Dopo aver insegnato letteratura italiana all’estero ed aver tradotto molti libri quale è stata la “molla” che alcuni anni fa ti ha fatto decidere di scrivere un libro? E come mai un thriller? 

Il caso di trovarmi in un momento lavorativo incerto e un breve manoscritto di 40 pagine che avevo da parte da qualche anno. Avere un lutto alle spalle che continuava a premere da dentro mi ha convinto che il thriller (su cui lavoravo da Fazi editore) era  la forma adatta per raccontare la violenza della morte come l’avevo vista io: senza sconti a me stesso e ai lettori ma con una scrittura costruita in antitesi ai crismi del genere: lirica e barocca.

ANDREA DEL CASTELLO : Quanto si influenzano a vicenda le parole e le immagini nel genere romanzo e nella graphic novel?

È interessante per me provare a immaginare tutto come una grande, continua, traduzione. Quando traduco un romanzo dall’inglese devo provare a riprodurre in italiano tutti gli effetti che ci sono nel testo e che un lettore inglese riesce a cogliere.  Quando scrivo romanzi devo tradurre una serie di passioni e suggestioni vitali e letterarie più o meno stratificate dentro di me e devo inventare un mondo, una lingua che lo racconti, i personaggi che lo abitano. Devo costruire letteralmente un linguaggio che produca immagini, sensazioni ed emozioni nel lettore. Nel passaggio alla graphic novel ci sono almeno altri due filtri: quello dello sceneggiatore che immagina piani sequenza e inquadrature e  quello del disegnatore che traduce tutto in un altro linguaggio ancora: quello dell’arte figurativa del fumetto.

LUIGI MARTINUZZI : Come affronti i momenti (sempre se ti capita di viverli) in cui non ti vengono le parole, non ti è chiaro come spiegare una situazione che si sta svolgendo e non riesci a proseguire la storia che stai scrivendo? Cosa fai in questi casi?

Difficilmente soffro di momenti in cui non trovo le parole giuste, io sono più uno scrittore che un narratore puro e sono costantemente dentro a un mondo fatto di segni. Il problema che affronto più spesso, invece, è di trovarmi ad aver calcolato tre quarti della trama con tutti i punti di svolta, i depistaggi, le scene del crimine, ecc e scoprire che ha vinto il fattore Z. Cioè la molla anarchica che mi governa quando scrivo e che mi dice di allontanarmi dalla retta via, dalla scaletta, dall’imposizione dello schema. Spesso sono i personaggi a trasformare le strutture, a volte la forza dei luoghi che evoco mi spinge in altre direzioni. L’importante è che ci sia un rumore di fondo, una musica, un effetto di base e che i miei lettori lo ritrovino, variato, in tutti i miei romanzi, che possano riconoscermi aprendo una pagina a caso senza dover per forza ritrovare il commissario Mancini, la mia Roma, o i miei serial killer.

ALBERTO RIPA : Scrivere un thriller è come dirigere un’orchestra. Come procedi? Prepari uno “spartito” completo e lo segui con rigore, oppure, dopo avere concepito l’idea su cui poggia la trama (il movente degli omicidi), ti lasci guidare dalla creatività, e sviluppi la storia quasi vivendola di persona come un personaggio?

Rigore e arbitrio sono i due limiti dentro cui provare a muoversi. Uno schema di massima dentro cui orientarsi. Una scaletta capitolo per capitolo è il massimo del rigore, ma io quando vedo una struttura rigida mi sento violentato e tendo a derogare, cerco vie traverse. Dove c’è un vincolo si attiva la testa, la creatività, il desiderio di lasciar andare la penna per puro divertimento (deviazione). Perché se sapessi tutto quello che succede in un mio libro non riuscirei a scriverlo. Ho bisogno di una parte di vuoto, di incertezza, di brivido per andare avanti. Per continuare a stupirmi della potenza della scrittura e delle storie.

BARBARA GALIMBERTI : Leggere un libro ci permette di provare emozioni. Rileggendo un tuo libro, quali emozioni provi?

Non sono mai riuscito a rileggere per intero un mio romanzo. Ho assistito a letture parziali durante festival e presentazioni e la sensazione è sempre quella di essere estraneo a quello che ho fatto (sono innocente!!!). Ogni tanto sono riuscito anche a emozionarmi, ad ascoltarmi come se fossi un autore estraneo. Più in generale ho scoperto di avere una certa paura dei miei romanzi, della loro complessità e del cuore nero che li anima, diversamente, tutti. Altre volte mi chiedo come sia possibile che io abbia scritto 1200 pagine in due anni e mezzo su Mancini e Roma. E chissà quali altri mondi proverò ad evocare nelle prossime 1200!!! 🙂

Grazie ai tanti lettori che ci hanno inviato tante domande ma solo 5 sono passate alla selezione anonima di Antonia. E grazie a Mirko.

 

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