Abbiamo amato il romanzo Evelyne, il mistero della donna francese (edito da Interlinea) e lo abbiamo intervistato per raccontarci quello che nei suoi romanzi non possiamo leggere. Diamo il benvenuto a Marco Scardigli, scrittore e saggista.

Buongiorno Marco, in “Evelyne”, oltre al racconto giallo, ai delitti, c’è una descrizione molto precisa delle differenti classi sociali e delle loro labili connessioni: il povero viene tenuto a distanza da chi è più colto e agiato (tranne l’unica eccezione della signora Arnaud). Sembra quasi l’anticamera di un romanzo storico-sociale. Ne ha forse uno nel cassetto?

No, sinceramente il romanzo sociale non è nelle mie corde, però ho una formazione da storico e la struttura di una società per me è un dato fondamentale per capire un certo periodo. Sottolineare una separazione di classe molto più netta di quella attuale è uno degli aspetti che mi sono serviti per rimarcare la distanza temporale dal periodo che raccontavo. Altro discorso è discutere se la separazione di classi sia oggi minore, oppure semplicemente siano cadute alcune esteriorità, ma la sostanza non sia molto cambiata. 

Il 1904, data di ambientazione di “Evelyne”, è piena Belle Epoque e si percepisce una specie di sospensione del tempo in attesa della guerra che verrà. A chi si è ispirato per i suoi personaggi principali (Stoffel, Marchini e Tina) che mettono tutto in discussione, anche se stessi, in un mondo che – invece – insiste a usare i paraocchi

Stoffel deriva direttamente dai miei studi di Storia militare, Tina e Marchini sono invece pure invenzioni. Per quanto riguarda invece il periodo, credo fortemente che l’Italia (e il mondo) dell’inizio secolo scorso avesse molti punti in comune con quello attuale. Allora come adesso stavano cambiando le basi stesse della società e dell’economia. Allora si verificava l’invasione dei motori e dei macchinari che sostituivano l’uomo in molti lavori e funzioni, si assisteva all’ingresso potente della scienza nella vita di tutti i giorni e agli albori della produzione industriale. Nasceva una società di massa: trasporti, comunicazioni, moda… Oggi avvengono trasformazioni altrettanto sostanziali, solo che al posto della meccanica è l’informatica a stravolgere vite e società. Di fronte a tali mutamenti, ai tempi, c’erano posizioni molto diverse: chi si aggrappava al passato, chi si esaltava per il futuro, chi faceva semplicemente i conti in tasca al presente. Poi sappiamo come è andata a finire. Oggi è più meno lo stesso, ma non sappiamo dove ci porterà…

Questo libro è una sorta di “Educazione Sentimentale”: i tre protagonisti hanno le idee confuse su come muoversi nelle stanze dell’amore e tentennano. Oggi ci si comporta, secondo lei, in modo molto differente oppure è solo apparenza e le persone sono altrettanto in difficoltà a mostrare se stesse e i propri sentimenti?

Sotto questo profilo i miei tre personaggi sono molto “moderni”: la normalità a inizio Novecento era adattarsi a ruoli di genere molto rigidi, maschio centrale e dominante, femmina sottomessa. È vero che proprio allora apparivano le prime incrinature in questa rigidità, ma erano casi sporadici e pionieristici. Però non penso che in questo senso Tina, Marchini e Stoffel siano antistorici: per i primi due essere orfani e con un passato di povertà (raccontato nel romanzo precedente Celestina. Il mistero del volto dipinto) significava anche essere dei fuori casta e quindi, per paradosso, più liberi. Per Stoffel, ufficiale ex alcolizzato, è una questione di scontro tra la rigidezza della mentalità militare e la libertà fuori dall’ordinario della donna incontrata.

Rispetto al confronto col presente non credo ci siano sostanziali differenze, tranne forse per un particolare: non so se oggi sarebbe possibile che due uomini, in nome dell’amicizia e della lealtà, si astengano da qualsiasi tentativo di conquistare la donna contesa e lascino a lei la decisione. Il gentleman agreement temo sia fuori moda nella società della concretezza.

La sua è una scrittura meditata, con lunga gestazione e pause nel tempo, oppure inizia il racconto e continua di getto fino alla fine?

Io parto da uno spunto vero, trovato sui giornali cittadini (in questo caso la vicenda Meunier del 1924, retrodatata per esigenze narrative) e immagino un punto d’arrivo: poi la scrittura viene in due/tre gettate distanziate fra di loro. Però sono un maniaco delle riletture, da solo, a video, oppure su carta, ad alta voce, con mia moglie che ascolta paziente e mi aiuta a correggere, limare, saldare, avvitare e, alla fine, lucidare… Un lavoro di artigianato che adoro.

“Evelyne” è un racconto ambientato a Novara, la sua città. Pensa, nei prossimi libri, di allontanarsi da queste zone o si ritiene uno scrittore stanziale che trova ispirazione dai luoghi che conosce meglio?

Sono provinciale fino al midollo e non riuscirei a scrivere qualcosa ambientato in una grande città: non so e nemmeno riesco a immaginare come funzioni vivere a fianco di milioni di persone. Posso invece scrivere di realtà più piccole, ma mai troppo distanti dalla mia esperienza. Il primo romanzo era ambientato tra Novara e Lago Maggiore (che io amo molto), Evelyne a Novara. Il prossimo romanzo (tutt’altra storia, tutt’altro tempo e altro soggetto) si svolge fra una non meglio specificata tranquilla cittadina del nord Italia e il lago Maggiore… Ho una fantasia geografica molto limitata!

Grazie a Marco Scardigli, in attesa del suo prossimo romanzo!

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